Il Brasile dei divari sociali: grandezze e miserie di un paese a guida socialista in mano a Wall Street

di Enrico Oliari –

brasile grandeIl Brasile che incontra oggi papa Francesco è di poco diverso al paese delle proteste di poche settimane fa: la presidente Dilma Rousseff è riuscita, almeno per il momento, a ridurre il fuoco che stava divampando per le strade di Rio de Janeiro, di San Paulo e delle molte favelas in una brace sotto le ceneri, almeno quel tanto che basta per lascar passare la Giornata della Gioventù e la visita del pontefice.
La República Federativa do Brasil è un paese immenso, grande 28 volte l’Italia e con quasi 195 milioni di abitanti; nonostante le molte ricchezze naturali, le immense distese agricole, il petrolio ed un’economia in costante crescita (il Prodotto Interno Lordo è di 2.080 trilioni $, occupa il 6º posto nella classifica mondiale), il 15,3% dei brasiliani vive al di sotto della linea di povertà, soprattutto nelle favelas delle grandi città e nelle regioni più povere del Brasile, situate a nord; vi sono così divari sociali e contraddizioni impressionanti, basti pensare che la città di São Caetano, nello stato di San Paolo, ha un Indice di sviluppo umano di 0,919, superiore a quello del Portogallo (0.897), mentre la città di Manari, nello stato del Pernambuco, ha un Isu di 0,467, lo stesso della Tanzania.
E così, mentre il Brasile festeggia la Giornata mondiale della Gioventù e si prepara per ospitare i mondiali di calcio il prossimo anno e le olimpiadi nel 2016, nelle periferie delle metropoli si fanno i conti con il disagio sociale, la violenza delle rapine a mano armata e dei molti stupri, anche di ragazze minorenni, di cui si ha continuamente notizia. Un’ondata di violenza i cui numeri fanno rabbrividire, se si pensa che nel periodo che va dal 2004 al 2007 il solo Brasile ha registrato 192.804 omicidi contro i 169.574 provocati nei conflitti armati di tutto il mondo.
Fanno poca notizia le recenti proteste degli indios volte a bloccare il cantiere della mega-diga di Belo Monte, nei pressi di Vitoria do Xingu, nella parte sud-orientale dello stato amazzonico di Parà, in un paese sempre più assetato di energia, mentre “la Rivolta dell’Aceto” (nome tratto dallo stratagemma usato per difendersi dai lacrimogeni della polizia), del mese scorso ha fatto il giro del mondo: in molti, moltissimi sono scesi in piazza per protestare contro l’aumento del prezzo dei mezzi di trasporto e per le enormi spese per i Mondiali del 2014 e le Olimpiadi del 2016, qualcosa come 15 mld di dollari in una nazione dove la sanità pubblica è disastrata e chi può si fa curare negli ospedali privati. Stessa cosa per l’istruzione: se si paga c’è, ed anche buona. Altrimenti ci si adatta a quello che passa gratis lo Stato, insufficiente.
Il 18 giugno sono stati 50mila i giovani di Rio de Janeiro in strada, per chiedere meno spese faraoniche e più stato sociale, ma subito le proteste e gli scontri hanno investito altre città, anche minori, come Sao Goncalo, Juazeiro do Norte, Manaus, Florianopolis; nonostante la riduzione del prezzo dei mezzi di trasporto, il giorno dopo già un milione di persone hanno risposto alla proposta del gruppo Movimento Passe Livre (“biglietto gratis”), interessando oltre ottanta città di ogni dimensione. E dopo giorni ancora di più: una moltitudine di giovani che ha imbarazzatoun governo che di socialista ha, a quanto sembra, solo il nome ed il proposito.
Scontri accesi con la polizia vi sono stati un po’ ovunque, come pure vi è stata l’occupazione simbolica del parlamento nazionale a Brasilia e persino si sono registrati assalti a colpi di molotov e bastoni ai parlamenti statali di Rio e di San Paolo. Rui Falcao, presidente del Partito di Lavoratori al quale aderiscono sia l’ex presidente Lula che quello attuale Dilma Rousseff, ha fatto sapere di voler scendere in piazza accanto ai manifestanti, nonostante le manifestazioni si siano presentate come del tutto apartitiche ed anzi, di denuncia alla corruzione che si deve al sistema dei partiti al governo del paese.
Nonostante i sondaggi abbiano dato il 75% della popolazione a sostegno dei manifestanti, la presidente Rousseff è riuscita a disinnescare la miccia, cassando l’aumento dei prezzi dei trasporti e garantendo migliorie; “I violenti sono una piccola minoranza – ha detto il presidente alla tv si Stato – la voce della protesta della strada é pacifica. Sono la presidente di tutti i brasiliani e ho l’obbligo di dialogare con tutti, ma nell’ambito della legge e dell’ordine”.
E se qualcuno, quei giorni, aveva messo in “forse” la visita del papa, il 2 luglio il quotidiano spagnolo “El Pais” ha riportato che il pontefice avrebbe sostenuto che le proteste e le rivendicazioni sociali di queste ultime settimane in Brasile “sono giuste e coerenti con il Vangelo”.
Il noto economista canadese e nemico giurato della globalizzazione Michel Chossudovsky, assai critico verso la politica estera degli Stati Uniti e della Nato, ha sempre sostenuto che l’alternativa al neoliberismo ed alla cura da cavallo prospettata dal Fondo monetario internazionale (privatizzazioni ed austerità) rappresentata dal Partito dei Lavoratori di Lula ed oggi della Rousseff, fosse solo di facciata, in quanto “la politica monetaria e fiscale del Brasile è nelle mani dei suoi creditori di Wall Street”.
Nonostante il Brasile sia parte dell’asse Bric (paesi dall’economia in ascesa, dall’ampio territorio e dalla numerosa popolazione: Brasile, Russia, India e Cina) le manifestazioni di poche settimane fa, solo momentaneamente messe sotto la cenere, sono indice di un malcontento diffuso, proprio perché coloro che avrebbero dovuto portare in Brasile una sorta di “stato socialista”  in realtà hanno impoverito ulteriormente ed in modo crescente parte della popolazione, proprio favorendo il privato per molti inaccessibile e mettendo le proprie risorse a disposizione dei colossi stranieri.