Il G20 sull’Afghanistan: le sfide su profughi, diritti, terrorismo e narcotraffico

Il multilateralismo del G20 per la tutela degli afghani.

di Maurizio Delli Santi

Non può che destare grande attenzione l’annuncio del presidente del Consiglio Mario Draghi di una possible intesa per un G20 dedicato all’Afghanistan, ove dovrebbero essere poste tre questioni in agenda: la gestione dei rifugiati, la tutela dei diritti, la minaccia del terrorismo e del narcotraffico. A dire il vero ai più attenti osservatori non è sfuggito un aspetto sul programma del G20 quest’anno sotto la presidenza italiana e dedicato ai leitmotiv People, Planet, Prosperity: al foro delle 20 più grandi economie del mondo si sarebbe parlato delle grandi “sfide globali” quali la salute mondiale, i cambiamenti climatici e le diseguaglianze globali, ma nessun riferimento veniva posto ai rilevanti e connessi rischi gobali delle pressioni migratorie, delle criticità nel sistema dei diritti, e della minaccia del terrorismo e del narcotraffico. Era dunque emersa la preoccupazione che specie i primi due temi potevano essere divisivi, come era già dimostrato nel contesto europeo, mentre era necessario ottenere convergenze più immediate su altre priorità, quali la lotta alla pandemia e le intese sul clima in vista della COP26. Ma di fronte alla emergenza dell’Afghanistan, specie per i suoi risvolti umanitari, il G20 doveva necessariamente essere coinvolto, a meno di non ritrovarsi anch’esso al centro delle accuse di miopia strategica e irresponsabilità.
La scelta di una discesa in campo del G20 sulla questione Afghanistan ha un indubbio valore strategico per almeno due motivi. Il primo è rappresentato dalle scelte che la leadership italiana del G20, sostenuta in particolare dalla Ue e da Germania e Francia, ha compiuto su un modello di “multilateralismo inclusivo”, ancorché non meno critico nei confronti di governi autocrati, ma ben diverso dalla polarizzazione promossa al G7 di Biden con la “lega delle democrazie” apertamente rivolta soprattutto contro la Cina.
Il secondo motivo riguarda la stessa composizione del G20. Gli Stati Uniti sulla emergenza afghana hanno sollecitato una posizione comune del G7, in cui compaiono gli stessi Stati Uniti, la Germania, la Francia, il Regno Unito, il Giappone, il Canada e l ‘Italia, un campione decisamente non ampiamente rappresentativo della comunità internazionale, specie se si vogliono assumere decisioni riguardanti il quadrante asiatico.
Invece nel G20 figurano paesi come la Cina, la Russia, l’India, la Turchia e l’Arabia Saudita, nazioni che certamente potranno esercitare la loro influenza sugli scenari che dovranno definire il nuovo Afghanistan. Soprattutto sarà essenziale il ruolo di questi Paesi proprio sul tema della gestione della pressione migratoria dei rifugiati afghani, cui dovranno necessariamente essere chiamati a sostenerne gli oneri di accoglienza. Inoltre a questi Paesi, come ad altri che hanno da tempo rapporti con i talebani quali la stessa Cina, e il Pakistan e il Qatar, dovrà essere richiesto anche un ruolo fattivo e che non risulti equivoco rispetto alla tutela dei diritti delle donne e degli oppositori, nonché nella lotta al narcotraffico e ad ogni forma di violenza e di terrorismo. In buona sostanza, è meglio mettere le cose in chiaro proprio con questi interlocutori.

Membro dell’International Law Association.