Il terrorismo molecolare

di Giovanni Caprara

EbolaLe attuali stime di minaccia bioterroristica sono sottodimensionate in quanto si riferiscono a singoli fattori piuttosto che alla molteplicità dei rischi. Non è sufficiente identificare un unico elemento patogeno e concentrare su questo una strategia di contrasto, ma è necessaria una analisi più ampia delle minacce.
La sigla che identifica le armi biologiche è CBRN, Chemical, Biological, Radiological, Nuclear, e comprende tutte quelle costituite da materiale letale che possono provocare effetti distruttivi pari o superiori alla bomba atomica, o meglio quelle sostanze che esercitano un’azione chimica sui processi vitali dell’organismo sino a provocarne la morte. Fra queste non sono solo compresi gli agenti tossici, ma i loro precursori, ossia quelli che possono essere modificati con una reazione chimica in tal modo da renderli a loro volta letali.
Le armi biologiche sono microorganismi patogeni che hanno la capacità di resistere alle cure ed anche di moltiplicarsi nell’organismo dell’ospite: questo le rende devastanti.
Per tali motivi le CBRN hanno un effetto sociale più marcato delle armi nucleari, infatti la loro caratteristica principale è nel destare il panico, tanto da poter essere identificate come armi psicologiche. E questo è legato proprio alla subdola capacità di diffusione nell’organismo che le pone come un deterrente crudele e sleale, sinonimi del termine terrorismo. La percezione di un attacco bioterroristico è di per sé già una minaccia che aumenta esponenzialmente nel sentire comune soprattutto a seguito dell’uso del Sarin in Siria o delle lettere alla ricina negli Stai Uniti, ma in realtà non è l’agente nervino rilasciato da armi da temere, ma la contaminazione di acqua, cibo o la diffusione aerea di agenti patogeni come l’antrace, le febbri emorragiche virali, peste e vaiolo.
Questi sono i motivi per i quali la stima dei rischi non è equiparabile alle azioni per contrastarli.
Temere una contaminazione da vaiolo nel 2016 sembra essere priva di fondamento, essendo stato debellato nel 1980, ma in realtà il virus è ancora attivo: è conservato in un laboratorio statunitense ed in uno russo. Potrebbe essere rubato o duplicato con la ricostruzione della sequenza del DNA del virus da una fazione estremistica. Nel caso del vaiolo, sarebbe sufficiente distruggerlo, ma questo ingenererebbe implicazioni profonde nella comunità scientifica. Infatti molti microbiologi caldeggiano il mantenimento del virus per studiarlo in modo approfondito e tentare la preparazione di vaccini adeguati; i detrattori di questa tesi ricordano che non esiste la certezza assoluta che possa tornare a diffondersi se rimane vivo.
La resistenza del vaiolo non è stata ancora accertata e può essere ancora attivo nei pazienti deceduti molti anni fa perciò i terroristi potrebbero usarli come veicolo di contagio, pertanto nessuna decisione sul virus che uccise oltre 300 milioni di persone, resta valida.
Terrorismo batteriologicoLa comprensione scientifica dei sistemi viventi e della loro manipolazione, apporteranno dei significativi benefici per il genere umano, ma al contempo saranno dei veicoli per sviluppare nuove armi biologiche. La differenza è negli intenti che si prefigge il ricercatore. O meglio, la conoscenza bioscientifica deve rivolgersi solo all’applicazione medica od alla biodifesa. Quest’ultima dovrà essere controllata e protetta dallo Stato o dalle agenzie interessate con il preciso intento di favorire gli standard etici che disciplinano le sperimentazioni su cavie umane nella medicina classica.
Gli Stati Uniti sembrano essere la nazione più avanzata in materia di contrasto al bioterrorismo. I componenti fondamentali sono la prevenzione medica e l’intelligence. Lo “Strategic Medical Intelligence” è stato istituito dall’Fbi con lo specifico compito di fronteggiare gli attacchi terroristici con armi chimiche e biologiche tramite attività di polizia, sanitarie e di bonifica atte ad identificare acquisire e pianificare le risorse necessarie a risolvere precocemente o mitigare gli effetti di un tentativo o di una azione eversiva. In un attacco terroristico di tipo sanitario, condotto con armi chimiche o biologiche, la gestione della crisi deve rispondere sia alle tradizionali misure di polizia quanto alle attività sanitarie di rilevamento biologico, di ricerca, di bonificazione e di sgombero di tutte le persone coinvolte o colpite dall’atto eversivo.
In queste seconde funzioni prevalgono quindi le attività che assicurino la salvaguardia della salute pubblica, dalle minacce biologiche e chimiche. È necessario quindi sviluppare anche in campo civile quella filosofia sanitaria che i militari da sempre utilizzano sul campo di battaglia: fare il minimo indispensabile per il maggior numero possibile dei colpiti, ossia omettere le terapie a chi comunque non ce la farà ed a chi se la caverà in ogni caso, focalizzando l’attenzione del sanitario solo ai colpiti per cui la terapia è in grado di spostare l’esito dalla morte alla vita.
La consapevolezza del cittadino può assurgere a ruolo fondamentale in caso di eventi terroristici lesivi di lento ed insidioso impatto, come potrebbe avvenire con le contaminazioni tossiche e biologiche di cibi, acqua e materiale alimentare. In questo caso è importante avvisare gli operatori della salute pubblica i quali segnaleranno alle forze di polizia diagnosi inusuali o sospette sulla popolazione, identificando immediatamente le prime vittime ed il focus epidemico iniziale. Solo una precoce diagnosi delle fonti tossiche o infettive può permettere di circoscrivere l’emergenza sanitaria limitando i contagi o le esposizioni chimiche letali.
Una struttura simile è stata creata anche in Italia, dove il comune cittadino può essere il primo ad allertare la comunità attraverso il medico di famiglia. A questi sono stati forniti, dal ministero della Salute, schede tecniche dove sono indicate informazioni sui possibili killer biologici più pericolosi. Tra questi il virus del vaiolo, il bacillo della peste, il botulino, il bacillo del carbonchio, il virus di Ebola e altri virus emorragici. Per ogni veicolo d’infezione sono specificate le forme di diffusione, la resistenza ambientale, il periodo d’incubazione, gli strumenti di bonifica, le terapie farmacologiche e gli eventuali vaccini disponibili, e le cautele necessarie a proteggere il personale sanitario che potrebbe venire a contatto con i virus e i bacilli.
Tutto questo è comunque un sistema che non può prevedere quale tipo di attacco possa essere messo in atto, pertanto la risposta potrebbe non essere adeguata anche se tempestiva. In ogni caso è plausibile supporre che un evento bioterroristico avrebbe la capacità di annientare il sistema di difesa stesso generando un maggiore impatto sulla popolazione con ricadute sul sistema paese. La deterrenza del terrorismo molecolare ha un forte impatto sociale a causa dell’imprevedibilità non solo del luogo dove può avvenire ma sul tipo di agente patogeno e sul bersaglio, ed in particolare sulla quasi impossibilità di prevenirlo. L’unico sistema di difesa è l’intelligence e la capacità di identificare immediatamente la fonte infettiva.