Iraq. Il 12 maggio le elezioni federali

di Shorsh Surme

Il prossimo 12 maggio i popoli dell’Iraq sono chiamati alle urne per eleggere il nuovo parlamento federale. Va ricordato che quanto è avvenuto in Iraq dal 2003, cioè dopo la caduta del regime di Saddam Hussein, non ha nulla a che fare con la democrazia, bensì si è instaurato un sistema corrotto, è stato saccheggiato il denaro pubblico con il conseguente impoverimento dell’Iraq.
Il paese rappresenta quasi il 18% di tutte le riserve di petrolio in Medio Oriente e quasi il 9% delle riserve globali, e nel 2017 aveva aumentato la produzione di greggio di circa 300mila barili al giorno rispetto all’anno precedente.
Quindici anni fa molti iracheni erano entusiasti di vedere la fine del tiranno e immaginavano un futuro luminoso per l’Iraq, senza Saddam Hussein. Purtroppo gli anni che sono seguiti hanno portato solo miseria e distruzione, un paese martoriato in primis da profonde rivalità tra le due principali confessioni dell’Islam gli sciiti e i sunniti, una spaccatura che risale sin dalla nascita dell’Islam stesso. Lo scisma si verificò subito dopo la morte di Maometto, nel 632 dopo Cristo. Gli sciiti riconoscevano infatti come legittimo successore del Profeta il cugino e genero Alì, che ne aveva sposato la figlia Fatima: scoppiò un’ostilità che dura di più di 1.400 anni e nessuna delle due comunità ha mai cercato di risolvere il problema alla radice in modo pacifico, non solo in Iraq, ma in tutto il mondo islamico.
Infatti anche i governi che sono venuti dopo il 2003 non hanno lavorato per rappacificare le due comunità e non solo, proprio grazie agli ultimi due governi di matrice sciita di Haydar al-Abadi e di Nuri al-Malki i problemi si sono accentuati; quest’ultimo non è riuscito a stabilizzare e a fermare il conflitto settario nel Paese, ed ha causato vistose divergenze economiche, bloccando lo stipendio dei dipendenti pubblici nella regione federale del Kurdistan sin dal gennaio 2014, nonostante fosse previsto della nuova Costituzione che la regione del Kurdistan avrebbe dovuto ricevere del governo centrale di Baghdad il 17% del budget (quasi 17 miliardi di dollari). Il governo di al-Maliki si era sempre rifiutato di dare soldi ai curdi, così da quasi quattro anni molte famiglie curde sono in crisi in quanto la loro unica entrata era lo stipendio statale.
Ora si spera che il parlamento che uscirà dalle urne 12 maggio prossimo possa realmente e finalmente cambiare il paese.