Isis. L’esperto Carlo Biffani ci spiega come difenderci dagli attentati

a cura di Vanessa Tomassini

Dopo Barcellona e Russia secondo Site, organizzazione basata negli Usa che monitora le attività dei jihadisti sul web, ora toccherebbe all’Italia. Stando a quanto apparso su “account Telegram che sostengono i jihadisti del sedicente Stato islamico, l’Italia sarebbe il prossimo obiettivo” di attentati. Le minacce al bel Paese da parte della galassia jihadista non sono una novità, basti pensare che oltre a Dubiq, Rumiyah (Roma, in arabo) è il nome del magazine ufficiale di Isis.
Al di là della fondatezza di tali minacce, che non per forza rappresentano un pericolo imminente per la penisola, l’attentato di Barcellona ha sicuramente riportato l’attenzione delle Istituzioni sulle misure di sicurezza presenti da Nord a Sud. Nonostante il livello di allerta rimanga invariato al 2 (cioè al livello massimo pre-attacco) i Comuni hanno previsto un aumento delle misure già adottate finora, con l’incremento di blocchi di cemento, detti ‘Jersey’, per bloccare eventuali attacchi con furgoni o auto, vere e proprie armi di distruzione di massa del nostro secolo.
E anche se in tanti sui social si riempiono la bocca di slogan come “non abbiamo paura” o “l’Isis non cambierà le nostre abitudini”, diversi ammettono che la paura c’è, eccome. È il caso di Vittorio Feltri, che all’indomani dell’attentato di Barcellona ha scritto “io ho una paura fottuta”.
Per questo motivo abbiamo incontrato l’esperto Carlo Biffani, fondatore di Security Consulting Group e autore del libro “Difendersi da un attacco terroristico”, edito da Male Edizioni, oltre che di un vademecum reperibile online che spiega come comportarsi in caso di determinate emergenze.

– Secondo Site, l’Italia è il prossimo obiettivo dei terroristi. Quali sono i punti di miglioramento della strategia del governo italiano?
”Aumentare considerevolmente gli investimenti necessari al miglioramento delle capacità delle nostre Forze di Polizia sia in termini di addestramento che di dotazioni. Guardare al modello di difesa israeliano, cercando di comprendere cosa sia possibile replicare e rendere più adatto e performante rispetto alle caratteristiche ed alla tipologia di minaccia alla quale siamo sottoposti. Ragionare sulla possibilità di dotarci, allargando la riflessione a tutti gli altri Stati membri dell’Unione, di leggi adeguate che consentano di perseguire in maniera davvero incisiva chi trama contro la sicurezza dei cittadini e dello Stato e chi fa parte del gruppo sempre più cospicuo e pericoloso dei cosiddetti foreign figfhters. La riflessione in tal senso potrebbe forse iniziare partendo da quanto fatto in termini di leggi speciali dal governo inglese ai tempi della guerra ai terroristi dell’IRA e dalla Legge Reale varata dal nostro governo a contrasto del fenomeno terroristico di matrice politica durante gli Anni ‘70. Ed a proposito dei foreign fighters, personalmente non comprendo quali possano essere le reticenze ad agire in maniera durissima contro chi si ha prova del fatto che sia stato a combattere nelle file di Isis oppure si vanti di averlo fatto o inneggi a qual tipo di movimento. Ritengo che volendolo, si potrebbe certamente configurare l’accusa di aver commesso crimini di guerra. Si tratta appunto di volerlo”.

– In molti continuano a ripeterci che il terrorismo non deve farci cambiare stile di vita. È proprio così?
”Abbiamo già cambiato le nostre abitudini ed anzi, secondo il mio parere stiamo assistendo per ora solo ad un abbozzo di quei cambiamenti che ci saranno e che diverranno più incisivi nel corso degli anni a venire. Pensare che l’unica strada percorribile sia quella di non rinunciare alle nostre libertà ed avere un approccio basato principalmente sulla nostra superiorità culturale e sul bene che ci muove e che alberga in noi, contrapponendo la nostra virtù al male che li caratterizza, significa ridurre tutto a principi etici e sociologici che mal si adattano alla esigenza di non farci sterminare e di difenderci. Il male, questo tipo di male, si estirpa con la determinazione e con gli strumenti più idonei in termini di difesa. Verrà certamente un tempo per pensare a come porre rimedio alle disuguaglianze ed ai drammi che affliggono il mondo, ma in un momento simile troverei più importante dell’aprire una discussione su quali possano essere le nostre eventuali corresponsabilità, pensare a come evitare che bambini innocenti muoiano schiacciati da un camion o da un furgone mentre passeggiano con i propri genitori in una delle nostre città”.

– Come possiamo difenderci da un attacco terroristico? Quali consigli si sente di dare a chi si dovesse trovare sotto attacco?
”Non pensare alla nostra sicurezza come ad un bene, ad un valore totalmente delegato ad altri, ma iniziare un percorso di sensibilizzazione e di formazione su ciò che ognuno di noi può fare per garantire a se stesso ed alle persone che ama, un livello di sicurezza maggiore. Iniziare a sviluppare una strategia difensiva basata su scelte semplici da attuare e su una maggiore consapevolezza dei rischi che si corrono in riferimento alle situazioni che quotidianamente viviamo. Iniziare già dall’età scolastica un percorso di istruzione sugli atteggiamenti e sui comportamenti da tenere. Credo sia evidente nel mio libro quanto io sia fermamente convinto della necessità di approcciare il tema secondo una modalità completamente innovativa e mai tentata sino ad ora nel nostro Paese. Dare al maggior numero di persone possibili le informazioni necessarie per non trovarsi completamente impreparati qualora una situazione come quelle delle quali si discute, si verifichi”.

– Ci sono luoghi o situazioni che dovremmo evitare?
”Ve ne sono molte, ma quello che davvero dovremmo fare è non farci trovare completamente impreparati qualora purtroppo accadesse di trovarsi al centro della scena di un attacco terroristico. Vi sono azioni che possiamo compiere in via preventiva ed altre in via reattiva”.

– Supponiamo di trovarci in una situazione come quella di Barcellona, cosa dovremmo fare?
”Aver immaginato prima la situazione e pensato cosa fare è l’elemento che fa tutta la differenza: la vera rivoluzione nell’approccio alla vita quotidiana e alla sicurezza partecipata. Attingere a risposte preordinate o doverne inventare di valide al momento fa la differenza fra salvarsi o soccombere. È necessario costruirsi sempre una strategia difensiva. Osservare. Trovare nel minor tempo possibile un riparo adeguato. Non fuggire in linea retta”.

Vanessa Tomassini – www.laintervista.eu