Israele. Vince l’estrema destra, Netanyahu torna al potere

di Enrico Oliari

Alla quinta votazione in tre anni e mezzo gli israeliani hanno dato la fiducia all’estrema destra consacrando il leader della coalizione Benjamin Netanyahu alla guida del paese per la terza volta. Il Likud di cui Netanyahu è a capo si conferma primo partito, ma il vero vincitore è Itamar Ben Gvir, leader di Potere Ebraico (Otzma Yehudit) e presentatosi alla competizione elettorale con il Partito Sionista Religioso.
La maggioranza di destra ha preso 65 seggi su 120, cosa che dovrebbe garantire quel minimo di stabilità politica che non si è trovata in questi anni, ma la comunità internazionale guarda proprio a Ben Gvir, che con i seggi poco sotto a quelli del Likud potrà dettare il passo nella coalizione di governo: Ben Gvir non ha mai fatto mistero del suo razzismo nei confronti degli arabi, della sua omofobia (aveva portato il partito ad allearsi con il movimento Noam), come del proposito di annettere a Israele la palestinese Cisgiordania, un’idea che già aveva ventilato lo stesso Netanyahu. Usa e paesi del Golfo hanno già avvertito Netanyahu che gli accordi di Abramo non vanno toccati (prevedono la nascita della Nuova Palestina con tanto di Cisgiordania), ma l’ormai nuovo premier si troverà fra l’incudine e il martello di Ben Gvir e dei suoi seggi, indispensabili a tenere in piedi la maggioranza.
Le sinistre e i partiti arabi hanno tenuto ad esclusione dei comunisti di Hadash Taal, che non sono riusciti a entrare alla knesset.
Netanyahu arriva al premierato carico della sua storia, sotto processo per corruzione. Nel 2015 aveva asserito, tra le polemiche, che Adolf Hitler, benché antisemita, non avrebbe voluto sterminare gli ebrei, bensì solo trasferirli in Madagascar o in Palestina, ma poi fu convinto dal Gran Mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini, ad attuare la “Soluzione finale”.
Più di un rilancio economico, i governi Netanyahu sono conosciuti dall’opinione pubblica internazionale per gli attriti con i palestinesi e la graduale occupazione delle loro terre, nonché per la proclamazione di Gerusalemme quale capitale del paese. Scelta questa non riconosciuta da gran parte della comunità internazionale.