La Germania corre ma pensa solo a se stessa: è la politica di Merkel

di Dario Rivolta*

Il governo di Berlino ha protestato contro la recente decisione del numero uno della Bce, Mario Draghi, che ha mantenuto bassissimi i tassi di interesse.
A prima vista, da consumatori, sembrerebbe assurdo che qualcuno si lamenti che il denaro costi poco. Eppure il fatto diventa più comprensibile se si pensa che i bassi tassi riducono, e a volte annullano, i profitti operativi delle banche: soprattutto quelle alle prese con grossi problemi di bilancio interni. Non sono solo il nostro Monte dei Paschi, Banca Etruria, Banca delle Marche eccetera ad affrontare gravi problemi ed essere messi di fronte alla necessità di forti aumenti di capitale per salvarsi. Nella “virtuosa “Germania, è la più grande banca europea, la Deutsche Bank, a correre gravi rischi.
Nonostante la cancelliera Angela Merkel ed il suo cerbero ministro Wolfgagn Schaeuble si ergano a maestri verso il resto d’Europa e pretendano rispetto delle regole (da loro stessi, di fatto, imposte), la Germania non può certo essere considerata, a ben guardare, un Paese virtuoso e la responsabilità cade proprio tutta sulle spalle del governo della cancelliera.
La Deutsche Bank è stata la banca europea che già nel decennio prima dello scoppio della crisi si è dedicata, più di ogni altra nel continente, a utilizzare i fondi dei suoi correntisti nelle speculazioni dei sub-prime e dei derivati in genere. Il crollo del 2007 l’ha coinvolta pesantemente e nello scorso settembre il dipartimento di Giustizia Usa gli ha imposto una multa di 14 miliardi di dollari.
Abbastanza comprensibilmente Berlino sta cercando di distogliere l’attenzione internazionale dal suo istituto di credito, ma ciò non toglie che il rischio di un suo fallimento sarebbe disastroso per l’intera Europa. Tant’è vero che si sa di diversi incontri, più o meno riservati, tra Merkel, Schauble e i vertici della banca su come affrontare la situazione.
Non è l’unica banca tedesca messa di fronte alle difficoltà: non a caso, al fine di “lavare i panni sporchi in casa”, Berlino impose ed ottenne che le numerose Sparkasse disseminate sul territorio fossero escluse dall’Unione Bancaria Europea.
A parte il mondo creditizio, la Germania ha altre cose di cui farsi perdonare ed altre ancora che segnalano come il Paese sia ben diverso da quel paradiso da loro stessi propagandato e da molti altri creduto vero.
Uno dei problemi è la politica voluta dalla cancelliera nei confronti dei migranti. Nonostante siano oggi poco più del 10% della popolazione, costituiscono più del 25% dei reati commessi e tra questi, l’80% dei crimini violenti. Le autorità, consce dell’insofferenza alla politica dell’accoglienza da parte della popolazione autoctona, minimizzano o addirittura tacciono sui fatti dolosi causati da stranieri e il comportamento della polizia e dei media tedeschi su quanto accaduto nella notte di Capodanno 2015-2016 lo dimostrano. La libertà di espressione soffre di un’autocensura molto diffusa sui media locali che raramente scrivono cose sgradite al governo centrale. In molte città, come a Duisburg, esistono interi quartieri dove la polizia non entra, sapendo che in caso di problemi la magistratura non sarà dalla loro parte.
L’economia sembra andare bene dopo la radicale riforma voluta da Gehrard Schroeder, ma la rinuncia a farsi locomotiva per gli altri Paesi europei e tenersi in tasca le eccedenze annuali di bilancio hanno contribuito a lasciare nel fango i Paesi europei più deboli. Il risultato è che la Germania, abituale grande esportatore, dal 2010 ha moltiplicato le sue merci con destinazione extra europea a scapito a quelle destinate all’interno del mercato comune. Se nel 2007 gli altri Paesi dell’Unione assorbivano merci tedesche per più di 120 trilioni di euro, oggi ne ricevono per poco meno di 60 trilioni mentre il resto del mondo, partito attorno ai 65, porta oggi nelle casse tedesche più di 160 trilioni di euro. Qualcuno, con frase colorita, sostiene che la più grande esportazione tedesca in Europa non siano più i macchinari o le auto, bensì la disoccupazione. Le banche tedesche hanno generosamente finanziato i deficit dei Paesi più deboli incamerando i relativi profitti ed oggi, dopo averli recuperati con mezzi vicini al ricatto come successo con la Grecia, pretendono che i consumatori di quei Paesi prendano atto della loro impossibilità di continuare a mantenere il loro standard di vita.
La cancelliera è nata nella Germania dell’est, ma forse le farebbe bene conoscere la storia recente dell’ovest del suo Paese. Subito dopo la guerra, la Germania era in ginocchio e il suo debito pubblico enorme. Nel 1953, per consentirle di rilanciare l’economia, si tenne un incontro a Londra con i maggiori creditori. Si decise esattamente quello che Berlino non ha voluto fare con la Grecia e con gli altri Paesi fortemente indebitati: una riduzione del 22% del debito tedesco e un tetto al pagamento degli interessi su quanto restava. Tale limite fu fissato al 3 percento del valore delle future esportazioni. In altre parole, per aiutare la rinascita, si dette priorità alla salute dell’economia rispetto al rimborso del credito. Il risultato fu una crescita del 7,5 percento medio negli anni ’50. Esattamente il contrario di quanto Berlino ha imposto ora ad Atene e compagni. Se la Germania oggi è in salute lo si deve anche a quella politica lungimirante che i tedeschi han voluto dimenticare.
Il loro attuale sistema-Paese è sicuramente più compatto di quanto noi si veda in Italia e la produttività complessiva del lavoro è più alta, ma il loro benessere e il forte incremento delle esportazioni è dovuto anche, se non soprattutto, al fatto che l’euro è molto più debole di quello che fu il marco e, contemporaneamente, molto più forte della lira o del franco francese. La conseguenza: grazie alla valuta unica non esiste possibilità di naturale svalutazione e ciò ha reso meno competitive le altre industrie a favore di quelle tedesche. Il forte andamento della sua economia, se ancora fosse esistita una valuta tedesca, avrebbe automaticamente portato a una sua rivalutazione, rendendo così più costose le loro merci e più concorrenziali quelle degli altri Paesi europei.
Anche dal punto di vista della politica internazionale non si può certo dire che il governo della cancelliera Merkel abbia brillato. La sua ipocrisia nei confronti della Russia, dura sulla questione Ucraina, si accompagna con il tentativo di violazione del piano energetico europeo tramite il progetto North Stream 2. La stessa ipocrisia si verifica nei confronti dell’Unione Europea ove, mentre si finge di continuare verso una maggiore integrazione, si favorisce negli altri Paesi dell’Unione una politica economica che si sa essere foriera di sempre maggiori consensi per le forze anti europeiste o addirittura separatiste.
Infine qualche altro dato che, in aggiunta ai problemi di Volkswagen e Deutsche Bank negli Usa, spiega perché la Germania è così remissiva di fronte alle esigenze obamiane contro la Russia: sul territorio tedesco ci sono ben 287 basi militari degli Stati Uniti che ospitano circa 40mila soldati americani e la maggior parte delle riserve auree della Germania si trovano proprio oltre oceano. Conterà anche questo?

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.