La Mezzaluna Rossa Libica, storie di straordinaria quotidianità a Bengasi

di Vanessa Tomassini

“Ieri una ragazza di 24 anni è stata uccisa da un colpo di arma da fuoco. Mentre era in macchina con i genitori sulla via di casa, intorno alle dieci di sera, alcuni gruppi armati hanno bloccato la circolazione in diversi punti della città di Bengasi, arrivando a sparare colpi sulla strada. Un gruppo armato collegato all’esercito, ha impedito alla famiglia di passare. Un uomo ha esploso alcuni colpi in aria, ma un’altra persona ha puntato l’auto e la ragazza è stata colpita al petto”.
Ahmed Elfakri è un volontario della Mezzaluna Rossa, The Libyan Red Crescent, un’organizzazione non governativa che cerca di alleviare le sofferenze del popolo libico. Ahmed, che con orgoglio indossa la pettorina rossa, si occupa in particolare del progetto nel quartiere di Qar Yunis, lanciato a novembre del 2017 ed in programma fino alla metà di marzo. “Il distretto di Qar Yunis è afflitto da diversi problemi dopo la rivoluzione: è necessario rimuovere i residui bellici, aprire strade, ripristinare l’illuminazione pubblica e privata. Ci sono ancora mine ed auto bruciate, così come l’Università di Bengasi necessita di manutenzione, tutte cose importanti per promuovere nuovamente la civiltà. Ora siamo nella penultima fase del programma che prevede l’installazione di nuovi segnali stradali”. “Non appartengo a nessuna corrente politica – ci tiene a precisare – continuiamo a lavorare neutralmente in conformità con i principi del Movimento internazionale della Croce Rossa e della Convenzione di Ginevra sui diritti umani. Qui stiamo cercando di aiutare le autorità locali a ridurre la sofferenza umana non solo per i cittadini libici, ma anche nei centri per i migranti”. Tra il 2014 ed il 2017, Ahmed è stato capo del dipartimento di soccorso del Segretariato della Mezzaluna Rossa libica ed ha vissuto in prima persona i problemi della città di Bengasi, il secondo centro per importanza della Libia, liberata dai terroristi di Daesh il 5 luglio 2017, dalle forze dell’Operazione Dignità sotto l’egida del generale Khalifa Haftar, dopo tre anni dall’inizio delle operazioni militari. Tuttavia la situazione attuale è ancora turbolenta e la sicurezza è ancora instabile, anche per via di diversi scontri e proteste contro alcune decisioni del capo dell’autoproclamato Libyan National Army. In particolare, lo scorso 16 febbraio, il comandante delle Forze speciali al-Saiqa, Wanis Bukhmada è stato sollevato dal comando della Sala Operativa di Bengasi che aveva condotto la battaglia contro i terroristi dal 2014.
Mentre ci racconta dei suoi programmi, Ahmed si incupisce: “Scusate, sono davvero arrabbiato per la situazione che stiamo attraversando a Bengasi”. “Al lavoro – prosegue – utilizzo sempre la mia macchina perché non c’è un altro mezzo di trasporto, così l’altro giorno alcuni uomini armati mi hanno distrutto il vetro posteriore per il semplice fatto che ero andato a dare una mano nel campo degli sfollati di Tawergha”.
Quali sono i bisogni della cittadinanza di Bengasi?
“Innanzitutto c’è un grande bisogno di ospedali e cure mediche. Ci sono malattie croniche che per essere curate necessitano dell’assunzione continua di farmaci che scarseggiano. Ci sono medici all’ospedale pediatrico che non hanno i mezzi necessari, ad esempio mancano gli aghi per i vaccini e gli antibiotici; spesso i dottori sono costretti a far acquistare i medicinali ai genitori dei piccoli pazienti; stesso discorso per l’equipaggiamento delle sale operatorie, a volte sono i pazienti, o le persone che li assistono, a dover acquistare le attrezzature dalle farmacie. Questo è ciò che accade all’ospedale di Bengasi” – afferma con rammarico il giovane volontario.
Mentre prosegue il suo racconto, ci mostra un report dell’ultima visita al centro di detenzione migranti illegale di Bengasi, nella regione di Budzira, il 15 gennaio scorso. Nel centro erano presenti 287 persone: 70 Eritrei, 30 del Bangladesh, 32 del Ghana, 100 egiziani, 20 persone del Ciad e 35 del Sudan. “C’erano anche una trentina di persone anziane. La situazione sanitaria nel centro è molto scarsa. Non c’è assistenza medica, né un’ambulanza per il trasporto di pazienti, nonostante un gran numero di immigrati soffrano di gravi malattie come l’AIDS, patologie del fegato e disfunzioni croniche come diabete e ipertensione”. Nonostante le cattive condizioni degli sfollati e dei migranti, alcuni insistono nel condividere ciò che hanno l’uno con l’altro. “Ci sono anche migranti che ritornano volontariamente alle loro case – si legge in un report – tuttavia molti restano imprigionati, perché non sono in grado di pagare alcuna garanzia per uscire di prigione”. Malgrado tutto quello che hanno passato, in Libia ci sono tante persone buone, eroi silenziosi che ogni giorno si rimboccano le maniche per il loro Paese, angeli silenziosi come Ahmed, che con la pala in mano, cercano di mettere in sesto le strade di tutti. Nella Mezzaluna Rossa un ruolo centrale è ricoperto dall’Emergency Team, impegnato nel primo soccorso, ma anche della sepoltura e riesumazione dei cadaveri. Tra gennaio e febbraio 2018, la squadra ha dato sepoltura ad oltre 65 corpi, ammassati nelle celle frigorifere del centro medico di Bengasi. “Più di 8 corpi sono stati recuperati a Sidi Khreibesh, vicino al distretto di Sabri. Abbiamo anche affrontato di recente una grave alluvione che ha messo in ginocchio il paese ed ha colpito anche la nostra sede. Noi volontari siamo al lavoro giorno e notte con il sostegno delle autorità locali, ma senza compensi” -prosegue Ahmed.
A Bengasi, come in altre zone di guerra, c’è bisogno di paramedici e tutti devono essere pronti a gestire la crisi, quando serve. Per questo i volontari della Mezzaluna Rossa hanno organizzato corsi di primo soccorso per adulti e bambini. Sono stati proprio i più piccoli a simulare una situazione di emergenza, durante la recente visita del presidente della Croce Rossa, Peter Mauer, il quale ha dichiarato: “La Libia è uno dei Paesi con la più alta percentuale di sfollati e quindi i bisogni umanitari sono importanti, in particolare nei servizi sanitari, nella fornitura di acqua potabile e nel sostegno economico alle popolazioni sfollate”. Sebbene la copertura giornalistica sulla crisi libica si sia ridotta, in favore di conflitti in altri paesi della regione, Maurer ha sottolineato l’importanza di mantenere la Libia al centro dell’attenzione internazionale, poiché abitanti e migranti si trovano di fronte a una situazione spaventosa.