La “pace negativa”

di Giovanni Caprara –

I recenti fatti criminali avvenuti ad Ostia, hanno una connotazione precisa che può essere estesa alla geopolitica, alla filosofia ed alla giurisprudenza, in particolare dopo la proposta del governo di far presidiare il territorio all’esercito. Quando si schierano forze militari, pensare alla guerra, alla pace ed ai diritti umani sono passaggi semplici quanto automatici.
Il valore della conciliazione non è assunto come unica mera assenza della guerra, ma citando Thomas Hobbes, il concetto di pace è negativo in quanto obliato dall’assenza di forza e, secondo Kelsen, il diritto stesso ricorre alla forza pubblica per garantire il rispetto delle leggi. Questo vuol significare che lo stato giuridico di pace è ristretto all’uso illegittimo della forza. La definizione di “pace” non è ben definibile, infatti concerne una condizione desiderabile associata alla vita, pertanto l’oggetto di approfondimento è il concetto ed il contenuto della parola pace: essa è il rifiuto della violenza fisica, dell’applicazione della giustizia sommaria e dell’uso non regolato della forza. Consegue che quest’ultima deve essere legalizzata dalla sicurezza pubblica ed avallata dalle autorità, pertanto la pace è quella riportata nei testi giuridici, infatti il concetto di pace negativa è proporzionale al valore ed all’applicazione della sicurezza. Il dualismo “pace e sicurezza”, sono ben definiti nella Carta delle Nazioni Unite, dove il mantenimento di questa condizione è talmente fondamentale da divenire conclusivo nell’interpretazione del dualismo.
La pace è determinata dalla conclusione di una guerra o di azioni di pubblica sicurezza, in questo caso l’obiettivo della comunità diventa la sua conservazione, ricercando ed eliminando tutti i fattori scatenanti il conflitto o l’operazione di polizia, restituendo così la sicurezza ai cittadini: in questo caso, pace e sicurezza si amalgamano fra loro sino ad essere un unicum. L’espressione del mantenimento della pace e della sicurezza è da sempre interpretata come un non uso della forza, ma più correttamente il dualismo vuole essere riconducibile al rispetto dei diritti dell’uomo, nel caso di Ostia nel cittadino onesto, un fattore che deve primeggiare sugli altri, a costo di esigere una trasformazione della sicurezza come concepita dall’Onu, mutandola pertanto, nel rigido rispetto della giustizia e del diritto internazionale: così la pace potrà essere giusta e non solo apparente e negativa. Affinché tale concetto possa essere applicato, parrebbe necessario rendere giusti anche i mezzi necessari a ristabilirla e difenderla, fra questi è da includere anche l’uso dell’esercito come forza pubblica. La giustificazione all’intervento dei militari per il mantenimento dell’ordine, origina dalla necessità di doversi difendere dalla delinquenza, pertanto le operazioni volte alla protezione del popolo, dei beni statali e del territorio dovrebbero essere giusti per natura.
La necessità di tutelare l’ordine pubblico avalla anche l’ausilio di sistemi d’arma che siano efficienti e superiori ai probabili nemici; ne consegue la possibilità di esercitare azioni tese alla diminuzione della potenza dei malavitosi ed, in casi estremi, le forze dell’ordine potrebbero sviluppare azioni di polizia preventive, come accaduto nella mattina del 28 novembre. Hobbes lo ritiene giusto, in quanto tende a garantire la libertà ed i diritti dei cittadini, ma altri come Wolff e Vattel lo definiscono come illegittimo, e giustificano la loro tesi con l’affermazione che il temere di essere attaccati non è sufficiente a trasformarsi in aggressori. Sostanzialmente, l’assunto è corretto, ma annulla il fondamento della difesa del debole e dell’oppresso, base di inizio per il mantenimento dei diritti umani.
Le operazioni legate all’antiterrorismo ed alla prevenzione di atti criminali, avrebbero la connotazione di guerra giusta, dove innegabilmente il fine ultimo è ristabilire i diritti dei civili che rischiano la vita negli attentati sovversivi e mafiosi, ma i servizi segreti dei Paesi maggiormente coinvolti in episodi contro la legalità, avallano tecniche di negazione e contrapposizione pari alle fazioni estremistiche o criminali. Porre in essere attività di polizia a favore dei basilari diritti umani universalmente riconosciuti è un fine giusto, pertanto non si deve bandire in assoluto la forza, se questa tende al recupero della dignità, ossia se garantisce nel tempo il rispetto dell’uomo. L’uso della forza è giustificabile nell’autodifesa a livello statale e nella forza pubblica per il mantenimento della legalità. La branca della filosofia morale, indica come “dovere imperfetto” la necessità di fermare i crimini contro l’umanità od in particolare verso i cittadini onesti ed inermi.