La pace tra Etiopia ed Eritrea è destinata a durare?

Il 9 luglio scorso è stato siglato uno storico accordo di pace che ha posto ufficialmente fine allo “stato di guerra” tra i due paesi africani. Qual è la situazione attuale? Sarà una conciliazione definitiva?

di Andrea Pezzati

Sono passati circa sette mesi dall’incontro tra il presidente dell’Eritrea Isaias Afewerki e il primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed, conclusosi con una dichiarazione congiunta che ha sancito, dopo vent’anni, la fine ufficiale delle ostilità tra i due paesi. Un traguardo storico per una regione altamente instabile come il Corno d’Africa. Bisogna però chiedersi se e quanto durerà la pace visto che gli equilibri politici nel continente nero sono sempre molto delicati.
Prima di cercare una risposta, occorre ricordare gli eventi che hanno segnato le relazioni tra Etiopia ed Eritrea. Tra il 1952 e il 1962 i due paesi furono parte di un unico Stato federale, la Federazione di Etiopia ed Eritrea. Le mire autonomistiche diffuse nel territorio eritreo spinsero, tuttavia, l’imperatore d’Etiopia Haile Selassie a dissolvere la federazione. Annessa all’Impero d’Etiopia, l’Eritrea intraprese una guerra di indipendenza che si concluse trent’anni più tardi, nel 1991. In quegli anni si inserisce anche la guerra civile etiope che vide opporsi un rigido regime comunista e vari gruppi ribelli. Essa cominciò nel 1974 con un colpo di stato ai danni dell’imperatore Selassie da parte del Derg, una giunta militare che proclamò la fine dell’impero e la nascita di uno Stato comunista. Tra il 1977 e il 1991 il paese fu duramente guidato dal dittatore Mènghistu Màriam, il quale instaurò il regime del Terrore Rosso. Nel 1991 i ribelli del Fronte Rivoluzionario Democratico del Popolo Etiope sconfissero il Derg e organizzarono un governo di transizione. La fine della dittatura comunista ebbe conseguenze anche per il futuro dell’Eritrea. Infatti il nuovo governo etiope fu favorevole alla conclusione delle ostilità tra i due paesi e consentì l’indizione di un referendum popolare in Eritrea, tenuto nel 1993. Quasi il 100% dei votanti si dichiarò a favore dell’indipendenza e l’anno seguente l’Etiopia riconobbe ufficialmente l’indipendenza dell’Eritrea.
La pace tuttavia durò poco. La perdita del territorio eritreo ebbe conseguenze geopolitiche ed economiche notevoli per l’Etiopia, in quanto divenne uno Stato senza sbocco sul mare. Le relazioni tra i due paesi deteriorarono fino a che nel maggio del 1998 si arrivò ai primi scontri armati nei pressi del villaggio di Badme, situato nella regione di Tigré, zona di confine contesa tra i due governi. Il conflitto si concluse con l’Accordo di Algeri, firmato dai due paesi il 12 dicembre 2000. Tale accordo previde la cessazione permanente delle ostilità e la costituzione di due commissioni: la Claims Commission, con il compito di decidere sulle richieste di risarcimento e sulle rivendicazioni dei due governi, e la Boundary Commission, avente il delicatissimo incarico di stabilire il confine tra i due stati. La decisione finale sulla delimitazione del confine giunse nel 2003 e sancì che la zona contesa dovesse appartenere all’Eritrea. L’Etiopia rifiutò di riconoscere tale risoluzione e posizionò il suo esercito a Badme, mentre le truppe eritree stazionarono a breve distanza e lungo tutto il confine. L’impasse è durata fino a luglio scorso, quando i due governi hanno firmato uno storico accordo di pace con il quale l’Etiopia riconosce i confini stabiliti dall’Accordo di Algeri del 2000 e la cessazione dello “stato di guerra”.
È necessario precisare che la pace è stata resa possibile grazie al giovane Primo ministro etiope Abiy Ahmed, in carica dal 2 aprile 2018. Sin dall’inizio del suo mandato Ahmed si sta dimostrando un grande riformatore: ha posto fine allo stato di emergenza che durava da mesi, ha proposto riforme economiche e sociali, ha fatto liberare centinaia di prigionieri politici e ha denunciato l’uso della tortura da parte dei servizi di sicurezza governativi. Ciò che ha avuto maggior risalto internazionale è stata la sua dichiarazione della fine delle rivendicazioni territoriali su Badme e la promozione di una pace duratura con l’Eritrea, azioni che hanno portato alla firma dell’accordo.
Etiopia ed Eritrea hanno ripristinato le relazioni diplomatiche e gli scambi commerciali, aprendo le frontiere al passaggio non solo dei beni ma anche delle persone. Le linee telefoniche che connettono i due paesi sono state riattivate e i voli dell’Ethiopian Airlines per Asmara sono ripresi. I due governi hanno altresì dichiarato di voler instaurare un rapporto di cooperazione politica, economica, sociale, culturale e militare. Al momento, dunque, la situazione è tranquilla e pare che le intenzioni di rispettare l’accordo ci siano. Ulteriori elementi a favore del mantenimento dello status quo si possono ricercare nella persona di Abiy Ahmed. Egli appartiene all’etnia Oromo che, costituendo il 34.4% della popolazione totale, è il gruppo etnico maggioritario presente in Etiopia. Gli Oromo sono stati emarginati ed esclusi dai governi precedenti e quindi il capo del governo rappresenta per loro una speranza di rinascita. In aggiunta il fatto che i genitori di Abiy Ahmed professino due fedi differenti (il padre è musulmano, la madre cristiana) potrebbe aiutare il Primo ministro a evitare scontri religiosi e ad ottenere il favore delle autorità religiose; ricordo che il cristianesimo, nella forma ortodossa, e l’Islam sono i due maggiori gruppi religiosi in Etiopia. La sua politica intensamente riformista, d’altra parte, ha attirato l’avversione dell’intransigente Fronte Popolare di Liberazione del Tigré, un partito politico di stampo socialista, contrario alla cessione del villaggio di Badme. Durante un raduno pro-Ahmed ad Addis Abeba, il giugno scorso, due persone furono uccise e centocinquanta ferite a causa dell’esplosione di una granata. Il motivo dell’attacco, del quale non si conoscono i responsabili, è da attribuirsi alle riforme del Primo ministro.
Per quanto riguarda Isaias Afewerki, non c’è molto da dire. Presidente dell’Eritrea dal 1993, il suo governo è da anni considerato repressivo e autore di violazioni dei diritti umani. Lo stesso Afewerki è stato accusato dalle Nazioni Unite di crimini contro l’umanità. Al di là della complessa situazione politica ed economica, l’Eritrea, attraverso l’accordo di pace, ha ottenuto ciò che desiderava da due decenni: l’acquisizione di Badme. Non vi è nel breve periodo alcun motivo per riprendere le ostilità.
Lo stesso vale per l’Etiopia. Il Primo ministro Abiy Ahmed è il promotore della storica pace. A meno di un cambiamento alla guida del governo, non pare possibile la rottura dell’accordo. Gli equilibri politici nel continente africano sono labili e sarà quindi interessante seguire gli sviluppi di politica interna nel territorio etiope e le contromosse dell’opposizione. La durata dell’accordo di pace potrebbe dipendere in larga misura dalla situazione politica interna dell’Etiopia.