La riforma di Erdogan e il sogno neo-ottamanista

di Francesco Cirillo

I membri del partito di Recep Tayyp Erdogan, l’Akp (Partito per la Giustizia e per lo Sviluppo), affermano che le critiche inerenti al testo costituzionale approvato con il referendum del 16 aprile sono senza senso. Essi infatti ritengono che la riforma non introduca norme che compromettono il ruolo del Parlamento o l’elezione diretta del presidente, e che non elimini, de jure, l’indipendenza del potere giudiziario. Anche se queste affermazioni sono veritiere rappresentano in realtà una analisi parziale del sistema di governo a cui pensa Erdogan. La nuova costituzione infatti attribuisce enormi poteri al presidente della Repubblica: potrà nominare i giudici senza aver bisogno di consultare il Parlamento, emanare decreti legge, scogliere l’Assemblea legislativa, nominare i dirigenti statali e quelli delle forze armate subordinandole al controllo della presidenza.
La riforma abrogherà de facto i principi che erano stati emananti nel 1921 dalla Grande assemblea nazionale turca con la Legge sulle Istituzioni fondamentali, prima legge costituzionale della Turchia.
Con la nuova costituzione di Erdogan il sistema di poteri perde l’equilibrio che hanno la maggior parte degli stati moderni, ed il presidente avrà più potere di qualsiasi leader turco dai tempi dei sultani ottomani. Può essere definito a tutti gli effetti un leader neo-ottomano.
Gli islamisti turchi vedono nel periodo ottomano il massimo apogeo della potenza economica, culturale e militare turca e disprezzano quindi la repubblica kemalista, nata nel 1923.
Prima della nascita dell’Akp, nel 2001, il movimento filo-islamico turco era guidato da Necmettin Erbakan, che considerava la repubblica una grande sconfitta culturale. Se nel progetto di Kemal Atatürk c’era una Turchia secolare, laica e parte integrante dell’Europa, Erbakan teorizzava che la Turchia doveva essere la potenza-leader che avrebbe dovuto guidare il mondo musulmano e stringere alleanze con paesi arabo-musulmano come l’Egitto, l’Arabia Saudita, il Pakistan e l’Indonesia. Dopo la nascita dell’Akp i protetti di Erbakan, tra cui figurano l’attuale presidente Erdogan e l’ex presidente Abdullah Gül, si sbarazzarono della retorica anti-europea promuovendo il dialogo con l’Unione Europea. Attuando questa mossa l’Akp venne visto come una forza politica musulmana moderata simile alle forze cristiano-democratiche dell’Europa occidentale.
Sotto sotto però i membri dell’Akp, come lo stesso Erdogan, hanno avuto la possibilità di mantenere alcune idee islamiste legate al disegno mediorientale di Ankara e a quello del mondo musulmano sunnita.
Le ispirazioni di Erdogan giungono dalla storia ottomana, e i cambiamenti attuati sembrano confermare questa visione. Il gruppo dei suoi fedelissimi consiglieri è composto da membri della sua famiglia, la sua residenza definita Palazzo Bianco (voluto da Erdogan e costruito su terreni che erano appartenuti ad Atatürk) assomiglia, non solo per le sue dimensioni, alle residenze dei vecchi sultani ottomani.
La riforma costituzionale, confermata con un risicato 51%, è solo un piccolo tassello del grande progetto di Erdogan: smantellare completamente l’apparato istituzionale dello Stato kemalista.
La missione è motivata dalle sofferenze che il suo elettorato ha dovuto affrontare; sofferenze e restrizioni causate dai difensori dello Stato di Atatürk.
Per lo zoccolo duro degli elettori dell’Akp gli anni di governo dell’era Erdogan sono paragonati ad una specie di era ottomana. I tradizionali elettori del partito erdoganiano, cittadini fortemente religiosi e quasi tutti membri della classe media, oggi godono di enormi diritti civili e politici che prima gli erano negati dall’elite kemalista. Questo elettorato ha risalito velocemente la piramide socioeconomica della società turca; ma concedendo ad Erdogan il potere quasi illimitato a cui ambiva, stanno arrivando a traguardi ancora più in là. Anche se è stata confermata la riforma, molti cittadini hanno bocciato il progetto costituzionale poiché temono il rafforzamento dell’autoritarismo di Erdogan e tenteranno di difendere i valori intoccabili della repubblica e i principi kemalisti.
La storia della Repubblica turca è una strada segnata da traguardi importantissimi. In meno di un secolo, da società maggiormente agricola e uscita distrutta dal primo conflitto mondiale, si è trasformata in una potenza economica capace di esercitare un’influenza in tutto il Medio Oriente e non solo. Tuttavia la storia contemporanea turca è costellata di eventi ed episodi non democratici, regimi militari repressivi e periodi segnati da violenze.
In conclusione Erdogan sta sostituendo semplicemente una forma di “autoritarismo democratico” di stampo laico con un’altro regime autoritario legato agli ambienti islamici e Neo-Ottomani.
La Legge sulle istituzioni fondamentali del 1921 era il primo tentativo per la creazione di uno stato moderno e per una Repubblica turca che ha sempre ambito a rafforzare lo strumento democratico, anche se incontrato numerose difficoltà. La nuova Turchia neo-ottomana ora si appresta a voltare le spalle alla democrazia kemalista per prendere una direzione neo-ottomanista e autoritaria.

La Costituzione di Erdogan.
La Riforma costituzionale sponsorizzata da Erdogan ha vinto il referendum del 16 aprile 2017. Ora Erdogan ha vinto il mandato popolare per accentrare i poteri dello stato sulla carica del presidente (cioè su di lui), ed ora si attenderà il 2019 quando ci saranno le prime elezioni con il nuovo sistema per suggellare il passaggio dalla repubblica parlamentare a quella presidenziale. Nel testo della riforma mancano quelle norme che garantiscono l’equilibrio e la divisione dei poteri tra quello giudiziario, esecutivo e legislativo.
La nuova costituzione turca, che abolisce la figura del primo ministro, consente al presidente di nominare e licenziare i ministri da parte del presidente che è coadiuvato dalla figura del vice presidente.
Tra i nuovi poteri che la riforma conferisce al presidente ci sono anche quelli di emettere decreti presidenziali su questioni facenti capo al presidente senza passare per il Parlamento.
Il presidente viene ad avere il potere di nominare i vertici militari dell’esercito e dei servizi segreti, i rettori delle università statali, i dirigenti della pubblica amministrazione e delle aziende di Stato, nonché alcuni vertici delle istituzioni giudiziarie turche.
Con la conferma della riforma il presidente Erdogan potrà rimanere alla guida del paese fino al 2029.
La riforma consentirà inoltre al presidente di restare in carica per cinque anni e di ricandidarsi per un secondo mandato e cancellerà il calcolo attuale dei mandati pregressi all’entrata in vigore della riforma.
Inoltre con la nuova Costituzione sarà difficile per il Parlamento mettere in stato di accusa il presidente della Repubblica. Servirebbero 301 firme per avviare l’iter di impeachment e 360 voti per creare la commissione di inchiesta che dovrà decidere se rinviare al giudizio alla Corte suprema e poi il proseguimento del processo dovrà essere convalidato da un voto di 400 deputati.
Attualmente il presidente della Repubblica turca, che originariamente doveva avere solo un ruolo cerimoniale di rappresentante dell’unità del paese, ha ampi poteri di controllo e supervisione sia dell’esecutivo che del corpo legislativo, ma non detiene la guida del governo.