L’ambasciatore Sanguini, ‘60mo: considerazioni su un’Europa da costruire’

di Armando Sanguini * –

considerazioni in vista delle celebrazioni dell’Unione europea a Roma: “L’Unione europea si appresta a staccare il tagliando della terza età. A Roma, il prossimo fine settimana.
Dovrebbe essere un momento di celebrazione di una consolidata e fruttuosa maturità, corredata da una prospettiva di crescita ulteriore conseguita anche attraverso la correzione degli errori e/o omissioni che ne abbiano viziato l’evoluzione; come accade in qualsivoglia impresa umana.
Ma non è così perché sulla festa romana si addensano diverse nuvole che rischiano di oscurarne portata e prospettive, con l’inevitabile contributo di manifestazioni popolari che ne rispecchiano in larga misura composizione e densità del rischio-pioggia.
Si tratta di nuvole che testimoniano del malfermo stato di salute di questa Unione Europea sul cui futuro le Cassandre che ne stanno annunciando luttuosi vaticini di dissolvimento si scontrano i predicatori che lo invocano a gran voce come un momento liberatorio di portata epocale.
Io dico subito che non appartengo, anzi non mi sento di appartenere a nessuno di questi due cori e che intendo dare con passione e determinazione il mio granello di sabbia ad un’opzione diversa, di stampo decisamente europeista, e proprio per questo critica della situazione in cui l’Unione versa attualmente, ma convinto che non vi sia una reale alternativa che non sia distruttiva; per tutti, anche per coloro che non sapendo quello che si fanno, o sapendolo e predicando l’opposto per ragioni politicamente strumentali, la stanno picconando in ogni modo, quest’Unione Europea.
Diciamo subito che una delle ragioni di fondo delle precarie condizioni in cui versa l’Unione risiede nel fatto che gran parte della dirigenza dell’Unione e dei suoi stati membri non è stata – e non è – all’altezza delle sfide alle quali l’Unione è stata chiamata a fra fronte in questi ultimi lunghi anni di crisi: pensiamo a Junker, a Cameron, a Hollande, giusto per fare alcuni esempi.
Diciamo subito che nulla o quasi è stato fatto dall’Unione e da diverse importanti capitali degli stati membri per dare ai cittadini europei almeno l’impressione di avere a Bruxelles un baluardo e una guida cui affidare i propri destini e che l’uno e l’altra fossero superiori, proprio perché “europei”, alla mera sommatoria delle posizioni dei governi dei singoli paesi membri. Tralascio il Parlamento europeo perché sarebbe imbarazzante commentarne l’utilità sotto questi due profili.
Diciamo poi che per varie ragioni, mediamente poco commendevoli, si è lasciato spazio, troppo, ai fautori di tesi oscillanti tra il fascismo razzista e quello islamofobo sfruttando la loro facile presa su una popolazione preda di un momento di serie difficoltà economico-sociali. Aggiungiamo poi che per timore di perdere consenso, le forze politiche e i movimenti che vi si potevano opporre, sono state non solo troppo remissive, ma finendo anzi per “sdoganarle” politicamente, complice la minaccia, vera, del terrorismo, il binomio islam-terrorismo, falso, e la vulgata, ipocrita, dell’invasione migratoria. E di fatto si dà oggi abbastanza per scontato che esista un problema di salvaguardia dell’identità europea quando in realtà il vero problema sta nella nebbia concettuale ed esistenziale di questa identità, una volta laica, un’altra cristiana, un’altra volta ancora storico-territoriale. Così come è diffusa la percezione popolare che il binomio islam-terrorismo sia reale come del resto un rapporto quasi fisiologico tra delinquenza e radicalizzazione islamica, mentre si lasciano nell’ombra altre e ben più profonde ragioni che spiegano i processi di estremizzazione, tra le quali anche le matrici delle guerre che stanno sconvolgendo il Medio Oriente.
E che dire della sconfortante incapacità di gestire la realtà migratoria messa in lancinante evidenza dal doppio-pesismo di Bruxelles verso i paesi membri più esposti (l’Italia!) da un lato e della ricerca ormai legittimata anche moralmente dello spostamento verso un altrove lontano della frontiera esterna dell’Unione (pensiamo alla Turchia, alla caotica Libia (!) etc.? E del poco edificante, a dir poco, braccio di ferro sullo scostamento dello 0,2% dell’italico bilancio?
Ebbene, di fronte a questo spettacolo – di cui ho accennato solo a qualche scena – non stupisce affatto che il testo della Dichiarazione di Roma in corso di redazione in vista del 25 marzo non sia tale da offrire il segno di una svolta, di un punto a capo in direzione di un rilancio: non ce ne sono le condizioni. E non solo per l’atteggiamento del gruppo Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia).
Malgrado tutto ciò voglio pensare che possano maturare le condizioni per rimettere in moto la macchina impallata della costruzione europea. Senza fantasmagoriche chimere di rilancio, bensì inserendo il tradizionale motore diesel del processo decisionale, passo dopo passo, come è sempre stato nei 80anni della sua vita; magari traguardando l’orizzonte di quella doppia velocità già in qualche modo adombrata in seno ai sei paesi fondatori.
Dal popolo olandese è venuto un timido ma significativo segnale incoraggiante in termini di euro-positività.
I primi passi ufficiali del negoziato della Brexit e i riflessi che se ne stanno producendo in termini di umori della city, di dinamiche parlamentari e di spinte centrifughe (leggasi Scozia, Galles e Nord Irlanda) ne costituiranno a mio giudizio un fattore di impulso. Positivo per l’Unione, critico per Londra.
Penso poi che da Parigi ne verrà un altro ancor più robusto con la sconfitta elettorale di Marine Le Pen, sulla quale mi sentirei di scommettere a favore dell’europeista Macron. E se così sarà, l’alternativa essendo sinonimo di disastro, si potrà contare sulla ricostituente linfa che la candidatura Schultz sta già apportando nello stesso senso in Germania.
E le celebrazioni di Roma? In questo percorso costituiranno comunque un importante occasione di riflessione storica e politica che l’eterogenea serie delle manifestazioni che con diverse finalità specifiche puntano comunque al rafforzamento di un’Unione rivisitata nei metodi e nello spessore visionario, potrà aiutare anche in termini propositivi. Auguriamoci solo che non venga guastata dal corteo organizzato dalla piattaforma Eurostop e da chi ne vorrà profittare ricorrendo magari alla violenza.
L’Italia, bisogna riconoscerlo, si è attivata, e continua a farlo, per favorire una convergenza strategica con gli altri tre maggiori paesi europei, cioè Francia, Germania e Spagna di cui l’ultimo esempio è stato offerto dalla riunione di Parigi del 6 marzo scorso. Si sta muovendo con cautela, per evitare di suscitare il sospetto che sia in campo l’ipotesi di un’Europa di serie A e di serie B, un’Europa dell’Est e dell’Ovest, un “1989 alla rovescia! come ha detto il premier Gentiloni.
Ma è fin troppo evidente che chi più vuole integrazione deve avere il diritto di perseguirla lasciando agli altri la facoltà di aderirvi e non la potestà di impedirla.
Roma può dunque segnare il punto della ripartenza.
Per chi ci sta.

* Già ambasciatore in Tunisia e Arabia Saudita, è consulente scientifico dell’Ispi.