Le persone invisibili: il dramma dell’apolidia

di C. Alessandro Mauceri –

Cos’hanno in comune Isabel Allende, Sigmund Freud, Pablo Neruda, Niccolò Machiavelli, Marc Chagall, Victor Hugo, Bertolt Brecht, Milan Kundera e Hanna Arendt? Erano tutti apolidi.
Nel mondo sono oltre 15 milioni gli apolidi, ma il loro numero è maledettamente incerto dato che oltre metà dei paesi del mondo non hanno fornito i dati relativi agli apolidi presenti sul proprio territorio. Cosa vuol dire essere “apolide”? Secondo quanto stabilito dalla Convenzione di New York del 28 Settembre 1954, con questo termine si indica “una persona che nessuno Stato considera come suo cittadino per applicazione della sua legislazione”. Si tratta di persone che non dispongono di un riconoscimento formale della propria condizione da parte di alcun Stato o che, pur avendo avuto una cittadinanza in passato, non ce l’hanno più e per questo chiedono un riconoscimento dello status di apolidia da parte del paese di accoglienza.
Il maggior numero di apolidi si trova in Costa d’Avorio, Repubblica Domenicana, Iraq, Kuwait, Lettonia, Myanmar, Russia, Siria, Thailandia, Zimbabwe (dati Global Trends). Ma in altri paesi sono centinaia di migliaia quelli che vivono in una sorta di limbo legislativo. In Europa (600 mila) ma anche in Italia, dove il disegno di legge marcisce in Parlamento da oltre un anno.
Una delle principali difficoltà incontrate dall’UNHCR per risolvere questo problema deriva proprio dalla mancanza di dati statistici affidabili che identifichino il numero delle persone apolidi o esposte al rischio di apolidia, che spesso versano in condizioni di precarietà e marginalità. E gli inviti dell’UNHCR sono rimasti finora inascoltati.
A fare le spese della situazione soprattutto i bambini, che si trovano in un limbo giuridico. Secondo alcune stime sarebbe un problema che riguarda non meno di 3-5 milioni bambini. E, in barba alle promesse fatte nel 2014 di eliminare questo fenomeno entro il 2024, ogni 10 minuti nasce un bambino apolide.
Un problema che pare essere poco importante per molti paesi europei: secondo il rapporto “Nessun bambino dovrebbe essere Apolide” dell’European Network on Stateless, su otto paesi del vecchio continente esaminati, solo due sono stati in grado di dimostrare che il governo ha attivato iniziative concrete per bambini apolidi.
La disputa in corso è quella tra ius solis e ius sanguinis (ovvero se nascere in un certo paese è di per sé sufficiente per richiederne la cittadinanza o se bisogna prendere la cittadinanza dei genitori).
“La concessione automatica della cittadinanza alla nascita di bambini che altrimenti sarebbero senza stato, è probabilmente lo strumento migliore per sradicare apolidia alla nascita e impedire la sua trasmissione da una generazione all’altra” ha detto Nils Muiznieks, commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani.
“Oggi per i bambini è possibile accedere alla cittadinanza, tramite ius soli [in base alla legge 91/92, ndr] solo se sono nati da genitori riconosciuti apolidi”. Questo significa che i bambini che nascono da genitori che non hanno visto riconosciuta questa condizione non sono “italiani” e “restano, invece, in una sorta di limbo giuridico”. Per questo spesso vengono chiamati i bambini “invisibili”.
In Europa è difficile anche solo individuare quanti sono i bambini apolidi. Una conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che l’apolidia infantile è una problema presente in quasi tutti i paesi d’Europa, ma ci sono notevoli differenze nel modo di affrontarlo. In Svezia, ad esempio, sarebbero 8.974 bambini indicati come apolidi uno dei numeri maggiori in Europa. In Germania, invece dove la qualifica di “apolide” e “nazionalità sconosciuta” non sono separati nelle statistiche demografiche pubblicate, sono solo 9.000 le persone di età inferiore a 20 anni inserite in questa categoria.
Nei paese dell’ex Unione Sovietica questo problema presenta numeri molto più rilevanti: secondo dati recenti, sarebbero 7.846 i bambini apolidi in Lettonia, 936 in Estonia, ma in Ucraina, il censimento del 2001 ne ha individuato addirittura 17.517. Differenze che evidenziano uno dei principali fattori che influenzano questo problema: la mancanza di accesso a documenti di nascita e di identità certi porta ad un’incapacità di stabilire o confermare la nazionalità (si pensi alle comunità Rom).
Anche peggiore se possibile la situazione nel Bel Paese. L’Italia ha ratificato la Convenzione del 1954 (L. 306/62) sullo status delle persone apolidi e ha aderito il 10 settembre 2015 alla Convenzione sulla Riduzione dell’Apolidia del 1961. Il 25 novembre 2015 la Commissione Diritti Umani del Senato, in collaborazione con il  Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), ha presentato un Disegno di legge sul riconoscimento dello status di apolide. Ma una legge organica sul tema non esiste ancora: l’impegno di trasformare questa ratifica in legge dello Stato non è mai stato rispettato e il disegno di legge sull’apolidia marcisce in Senato da oltre un anno. la conseguenza è che i minori apolidi (come quelli che arrivano sui barconi dopo aver attraversato il Mediterraneo) rischiano di vedere negati diritti fondamentali come l’assistenza sanitaria, l’istruzione o i servizi sociali.
L’obiettivo del disegno di legge era di mettere ordine nella disciplina semplificando la procedura per il riconoscimento dello status di apolide. Attualmente, infatti, esistono due tipi di procedure per il riconoscimento dello status di apolide ma entrambe sono lunghe e presentano diverse criticità. Come ha sottolineato Daniela Di Rado del Consiglio italiano per i rifugiati: “Le persone spesso continuano a rimanere nell’irregolarità per anni in attesa di avere lo status. Una legge ad hoc consentirebbe, invece, a chiunque si trovi in questa situazione di poter accedere alla procedura di riconoscimento dello status di apolidia, allegando la documentazione prevista, ma non precludendo da subito la possibilità del procedimento. Oggi per accedere alla procedura amministrativa, infatti, una persona deve già avere un permesso di soggiorno”.
Eppure secondo il diritto internazionale, il godimento della maggior parte dei diritti umani non dovrebbe essere legato alla nazionalità. E questo vale soprattutto per i diritti dei bambini. In pratica, invece, la mancanza di qualsiasi nazionalità, spesso ostacola gravemente l’accesso a molti diritti.
Invece, in Italia e in molti altri paesi del mondo, questi bambini continuano a rimanere “invisibili” Una condizione di invisibilità che si tramanda di generazione in generazione, ma che affligge soprattutto i bambini nati da famiglie fuggite da paesi che non esistono più. Bambini che hanno ereditato la condizione di apolidia dai loro genitori o si sono ritrovati con una nazionalità incerta.
Per loro il futuro è incerto e “invisibile”.