L’estremismo danneggia per primi i musulmani. L’importanza della contro-narrativa

di Vanessa Tomassini

Nel 2012 ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, è nato Hedayah, il primo centro internazionale indipendente incentrato sul contrasto all’estremismo violento in tutte le sue forme e manifestazioni attraverso il dialogo, lo sviluppo delle capacità e la ricerca, con l’obiettivo di promuovere tolleranza, stabilità e sicurezza in tutto il mondo.
Nel loro ultimo report “Undermining violent estremist narratives in the Middle-East and North Africa”, i ricercatori di Hedayah spiegano che l’area del Medio-Oriente e Nord-Africa (MENA) ha sofferto storicamente di estremismo violento e terrorismo, data la presenza di diversi gruppi terroristici che operano nella regione. Spesso abbiamo parlato dell’utilizzo di internet da parte della galassia jihadista che utilizza svariate piattaforme per promuovere la violenza, fare propaganda e reclutare nuovi adepti, grazie all’eco dei social network che hanno velocizzato ed ampliato la portata del fenomeno. Senza considerare che Daesh ed al-Qaeda hanno potuto contare anche su altri mezzi di comunicazione, come Dabiq e Rumiyah, dei veri e propri giornali con uscite regolari ed una grafica degna delle migliori testate giornalistiche occidentali. Il centro emiratino ha focalizzato l’attenzione anche sulla campagna offline come messaggi radio o lezioni di una falsa storia nelle scuole.
Per questo la sfida per contrastare le narrazioni di Daesh è duplice: minare la crescente propaganda estremista nel cyberspazio e ridurre il suo fascino nel discorso che si svolge offline, attraverso una contro-narrativa più efficace e studiata, che tenga conto dei più eterogenei fattori. “Sebbene il discorso sia incentrato su Daesh – precisano gli esperti – le iniziative e la contro-narrativa proposte possono essere applicate, con qualche sfumatura, anche ad altre organizzazioni che hanno ideologie, strategie e narrazioni simili”. È fondamentale ribadire – e non affatto scontato – che il terrorismo non ha nulla a che fare con la religione, anzi danneggia per primi i paesi musulmani e le loro comunità. È per questo motivo che molti paesi del Golfo, in particolare gli Emirati, si sono da sempre mostrati intransigenti ed inamovibili nei confronti di qualsiasi organizzazione terroristica e di quei paesi che direttamente o indirettamente li sostengono, come il Qatar. Oltre agli attacchi in Tunisia, al Museo Nazionale del Bardo e a Susa (Sousse) nel 2015; alle chiese egiziane e quello più recente nel Sinai; e all’attentato sventato alla Grande Moschea della Mecca nel 2017, in Arabia Saudita, va considerato che il maggior numero di reclutati dalla campagna estremista provengono proprio dai Paesi dell’area Mena. Per questo la nuova narrativa contro il terrorismo dopo la sconfitta territoriale di Daesh, deve avere come obiettivi: prevenire che individui e piccole cellule compiano attacchi nei loro paesi d’origine; reintegrare i combattenti terroristi di ritorno da Siria ed Iraq, che oggi desiderano effettuare attacchi in casa propria; infine prevenire la migrazione verso altre roccaforti di Daesh, dentro e fuori la regione. Hedayah fornisce così alcuni esempi efficaci di comunicazione atta a combattere l’ideologia estremista, come ad esempio quello della Community Media Network, che ha prodotto una serie di video radiofonici e televisivi in arabo da trasmettere su radio, TV e YouTube, in Giordania, rivolto principalmente ad un target di pubblico a maggioranza musulmana e alla gioventù giordana. Una conversazione tra una madre e suo figlio mandata in onda, delinea una situazione in cui il ragazzo sta giudicando un altro, perché ha i capelli lunghi. Durante il colloquio, viene rivelato che il ragazzo criticato rimuove una grossa pietra dal percorso delle auto per salvare vite. Il messaggio trasmesso dalla madre è chiaro: “le apparenze non contano e le azioni parlano molto più delle parole”. In Arabia Saudita, un programma televisivo arabo intitolato “Our Worries” ha ospitato una serie di interviste televisive nazionali con i disertori, dal titolo “Esperienze di giovani delusi ed ingannati “e “Dall’interno di Daesh”, che erano principalmente condotti con uomini fuggiti dai combattimenti in Iraq e in Siria. Le storie di questi rivelano le atrocità condotte da Daesh, inclusi l’uccisione, il rapimento di persone innocenti e lo stupro di donne in Siria. Questi programmi sono stati trasmessi in televisione per il pubblico saudita. Allo stesso modo, in un’altra intervista, tre donne siriane fuggite da Raqqa raccontano le loro vite nel Califfato dal reclutamento di altre donne, ad una rigorosa applicazione di regole come il non indossare cosmetici. Ma non è tutto, poiché come abbiamo detto la propaganda jihadista avviene su diversi fronti e non solo a livello mediatico, gli esperti di Hedayah hanno sottolineato quanto sia fondamentale coinvolgere i leader religiosi in queste iniziative. Ad esempio, il grande Imam di al-Azhar, in Egitto, è stato il primo a dare delle risposte religiose ai viaggiatori e ai pendolari nella metropolitana, in modo di incoraggiare la gente a cercare risposte dai religiosi e non nell’estremismo di Daesh. Alcune iniziative di successo, per il numero di persone coinvolte, sono state realizzate anche in Regno Unito, Kuwait, Tunisia, Marocco e Libano; attraverso scuole, media, radio e tv con la collaborazione di artisti, medici, giornalisti ed altre persone rispettabili e riconosciute dalla società.