Libano. Le dimissioni di Hariri costrette con la forza. Perché Salman vuole la guerra con gli sciiti

di Saber Yakoubi

Il 4 novembre scorso si è dimesso il premier libanese Saad Hariri ufficialmente per le critiche, mosse soprattutto dal partito delle Forze libanesi cristiane di Samir Geagea, di aver deciso con il presidente Michel Aoun di nominare l’ambasciatore in Siria, nella fattispecie Saad Zakhia, di fatto riconoscendo la legittimità del regime di Damasco.
Geagea ha dichiarato in un comunicato che “nonostante si tratti di una routine, non accetteremo mai che l’ambasciatore presenti le credenziali a Bashar al-Assad”. “Si tratta – ha aggiunto – di insulto per il popolo libanese per famiglia araba”.
Hariri, che è stato eletto con il partito di ispirazione sunnita Movimento il Futuro, ha letto le sue dimissioni sulla tv panaraba al-Arabiya in occasione della sua seconda visita a Riad nell’arco di cinque giorni, e nella sua dichiarazione ha accusato l’Iran di ingerenze nella politica del mondo arabo e ha denunciato di temere per la sua vita e per un possibile ritorno degli omicidi politici e dell’instabilità nel suo paese, soprattutto per il ruolo che rivestono Repubblica Islamica ed Hezbollah nello scacchiere mediorientale.
Il libano si presenta come una realtà politica molto complessa, con una divisione strutturale e persino dei poteri fra religioni e confessioni, è lì da Iran e Arabia Saudita hanno vivi i loro interessi. Un terreno tuttavia più che di incontro, di scontro, dove i dissidi inerenti le varie crisi, da quella siriana a quella yemenita, sembrano essere sul punto di esplodere da un momento all’altro.
In questo quadro è risultato che il premier Hariri più che volersi dimettere, è stato costretto a dimettersi, nel vero senso della parola.
 Circolano infatti sempre più informazioni secondo cui il premier libanese una volta giunto a Riad sia stato prelevato con la forza da agenti dei servizi interni e portato nella sede della tv al-Arabiya e quindi obbligato a dimettersi leggendo un discorso già pronto, dove appunto ha affermato le responsabilità dell’Iran in Medio Oriente e nel suo paese. Una mossa che difficilmente avrebbe fatto di sua spontanea volontà, specie dopo aver nominato l’ambasciatore da inviare a Damasco, governo alleato sia dell’Iran che degli Hezbollah libanesi. Umiliato e con le lacrime agli occhi è poi salito in auto e ha fatto rientro a Beirut.
Dietro a questo vi sarebbe Mbs, ovvero il principe ereditario saudita Mohamed bin Salman, il quale in questi giorni sta facendo nel suo paese piazza pulita di principi e miliardari, cioè di possibili concorrenti, ma sta anche intensificando la dialettica anti-iraniana ad esempio accusando gli Hezbollah libanesi di aver ricevuto dall’Iran e trasferito nello Yemen il missile Scud di epoca sovietica riadattato, sparato dai ribelli yemeniti houthi che ha sorvolato Riad prima di essere intercettato ed abbattuto.
Salman Junior, che ha comprato dagli Usa in occasione della visita del presidente Donald Trump di maggio armi per 110 miliardi di dollari e che ha voluto l’intervento militare diretto nello Yemen e indiretto, cioè attraverso il sostegno alle opposizioni anche radicali, in Siria, potrebbe spingere per ulteriori disordini nei paesi del Medio Oriente dove gli sciiti hanno peso, a cominciare dal Libano.