Libia: “Non vi lasceranno neppure gli occhi per piangere!”

di Guido Keller –

Era il 6 settembre 1860 quando il re di Napoli, Francesco II di Borbone, lasciava per sempre la capitale del regno delle Due Sicilie alla volta di Gaeta, per tentare un’ultima difesa verso l’incalzare delle truppe garibaldine: “Non vi lasceranno neppure gli occhi per piangere!”, esclamò dalla nave da guerra “Messaggero” rivolto al popolo partenopeo..
Era un’epoca in cui i capi di Stato costretti a ritirarsi dalla forza delle potenze straniere potevano contare su esilii più o meno confortevoli, senza essere necessariamente eliminati al fine di prevenire imbarazzi per i vincitori.
Muammar Gheddafi è stato ucciso a Sirte il 20 settembre 2011, nei modi che le cronache hanno ampiamente trattato e diffuso: il rais non fece sua la storica frase di Franceschiello, tuttavia gli avvenimenti accaduti immediatamente dopo la sua morte sembrano dare ragione a coloro che avevano respinto l’immagine semplicistica del popolo oppresso che si solleva, nello scacchiere della Primavera Araba, contro il dittatore sanguinario ed avido.
Anche Saddam Hussein era ritenuto il demonio del mondo, ma oggi, alla partenza delle truppe occupanti, ci si rende conto che la transizione verso la ‘democrazia’ (quando vi sono governi-fantoccio, le virgolette sono d’obbligo) è costata la perdita di quasi due milioni di civili, il riemergere di scontri tribali le cui radici affondano nella notte dei tempi e persino l’arrivo dei radicalismi religiosi (con conseguenze distruttive in materia di libertà e di emancipazione) laddove la fede era ritenuta un valore individuale e non sociale.
“La Sharia (la legge coranica) sarà la principale fonte del diritto nella Libia post-Gheddafi”, ha annunciato con enfasi ed orgoglio Abdel Jalil, il presidente del Consiglio nazionale libico di transizione a 3 giorni dalla morte di Gheddafi. “Siamo un Paese musulmano e la nostra costituzione deve riflettere le nostre credenze religiose”, ha dichiarato pochi giorni dopo Ahmed al Moghrabi, uomo-guida della preghiera in una moschea di Bengasi, città dove vi sono state manifestazioni pro Islam e da sempre ostile al Rais. “Sono i nostri uomini che hanno fatto la rivoluzione, non l’Occidente”, ha poi aggiunto, già dimentico del fatto che senza bombe della Nato e intelligence occidentale, probabilmente la rivolta libica sarebbe andata poco lontana.
“Sotto Gheddafi la sharia non era applicata ufficialmente, ma nelle nostre case la seguiamo, dunque le nostre mogli sono già abituate”: è stato quanto ha comunicato Sabri Ali, uno degli organizzatori del raduno di Bengasi del 28 ottobre: si tratta di segnali tutt’altro che trascurabili, se si pensa che, quasi fossimo nel Medioevo, c’è chi da una parte all’altra del mondo vorebbe creare una netta contrapposizione fra il mondo arabo islamico e l’Occidente cristiano.
Il 30 ottobre l’organizzazione non governativa Human Rights Watch già parlava di abusi, torture ed uccisioni commesse dai vincitori nei confronti dei vinti: la Libia, si è sempre saputo, ha per sport nazionale lo scannamento delle tribù avversarie, attività ripresa con vigore dopo la fine della ‘pax gheddafiana’.
E di certo al popolo libico non resteranno neppure gli occhi per piangere: il bisogno delle potenze occidentali di garantirsi l’approvvigionamento del petrolio porterà ad alimentare gli scontri fra le tribù, come da copione, sostenendo ora l’una ora l’altra pur di mantenere alta la tensione, strategia necessaria per far sì che tutte debbano essere poste in uno stato perenne di debito di riconoscenza. Ai nuovi padroni, si intende.