Libia. Attacco a checkpoint Sirte: ritorna l’Isis?

di Vanessa Tomassini

Erano quasi le 9,30 di sabato 10 febbraio quando un attentatore suicida a bordo di una jeep piena di esplosivi ha attaccato un check-point dell’Operazione Dignità a 90 Km ad est di Sirte. L’attacco, probabilmente riconducibile al sedicente Stato Islamico(IS), è arrivato dopo che le forze speciali del Libyan National Army, meglio note come sala operativa di al-Bonyan al-Marsoos (ORBM) impegnata nella lotta al terrorismo, aveva posto a partire da venerdì diversi posti di blocco in un generale stato di allerta dopo la segnalazione di “forze ostili” nella zona est della città. Secondo fonti militari, nell’attacco sarebbero andati distrutti due veicoli militari, ma non ci sarebbero stati morti. Non è la prima volta che gruppi jihadisti tornano alla ribalta in alcune aree recentemente liberate dalle milizie sotto l’egida di Khalifa Haftar. Malgrado i progressi fatti con il ripristino delle stazioni di polizia in quasi tutti i distretti libici, la città di Sirte che ha dato le origini a Muhammar Gheddafi, dopo oltre un anno dalla cacciata dell’Isis resta profondamente segnata.

La storia dell’ISIS a Sirte.
La più grande dimostrazione del sedicente Stato Islamico (IS) a Sirte risale al gennaio del 2015, con l’esecuzione in una spiaggia di 21 cristiani egiziani. Il momento ripreso da un cameramen, è stato poi utilizzato spesso nella campagna di reclutamento jihadista online. Come avvenuto in altre città libiche, l’ISIS ha fatto la sua comparsa a Sirte gradualmente attraverso gruppi già esistenti come il Supreme Security Committe e Ansar Sharia. Il Congresso Generale Nazionale eletto nel 2012 ha sempre minimizzato la preoccupazione dei residenti di fronte alla crescente forza dei gruppi militanti nella loro città, spesso perché gli stessi che avevano assunto il controllo di Sirte nel 2011, erano loro alleati. I gruppi islamici precursori dell’ISIS, la maggior parte provenienti da Misurata, sono stati inizialmente accolti dai residenti dopo la sconfitta del regime Gheddafi, credendo nelle loro promesse di stabilità attraverso regole severe, preferibili al vuoto e all’abbandono delle istituzioni. Le bandiere nere del Califfato iniziarono a sventolare tra le moschee a Sirte già a partire dal 2012. In molti casi, questi luoghi si sono semplicemente arresi all’ISIS, in altri hanno negoziato la sua entrata in cambio del rilascio di prigionieri, perché hanno visto poche alternative. Il gruppo non ha incontrato resistenze organizzate fino alla metà del 2015, quando con la città ormai nelle mani dei terroristi, l’ISIS ha iniziato ad importare le regole dure di Raqqa e Mosul per il popolo di Sirte, ex bastione dei fedelissimi del rais. L’associazione di Sirte con il vecchio regime ha indotto molti a ipotizzare erroneamente che alcuni dei suoi membri costituissero il nucleo dell’ISIS come accaduto in Iraq dove gli ex Baathisti fornivano conoscenze e reti locali. Seppur vero che alcuni ex funzionari dell’era Gheddafi si sono uniti ai jihadisti, la maggior parte hanno resistito. Anzi molte reclute del sedicente IS in Libia provenivano dai gruppi ribelli, secondo i funzionari libici e di sicurezza internazionale la maggior parte dei gerarchi, dirigenti e combattenti di Daesh in Libia erano stranieri, come confermano i documenti trovati a Sirte e i dati degli obitori dopo la cacciata dei miliziani.

L’espansione dell’Isis da Sirte.
Dopo la soppressione dell’insurrezione dell’agosto 2015, l’Isis ha esteso lentamente la sua presenza nel Golfo di Sirte, controllando oltre 100 km di costa ad est della città, allargando il suo controllo sui principali incroci ad ovest, verso Misurata, e prendendo di mira infrastrutture come centrali elettriche ed idriche a sud-est di Sirte stabilendo di fatto una zona sicura in cui organizzare attentati nella Libia occidentale in particolare a Misurata, continuando a combattere anche gli uomini di Haftar a Bengasi. L’Isis in Libia ha anche esteso la sua influenza a Sabratha anch’essa recentemente liberata dove era stato creato un campo di addestramento per jihadisti, la maggior parte tunisini, bombardato dagli americani il 19 febbraio 2016. La propaganda jihadista a Sirte come nel resto della Libia ha fatto leva sulle critiche ad entrambi i Governi incapaci ed apostati dell’Occidente, visto come origine delle sofferenze del popolo libico per via dell’intervento militare del 2011, oltre a proporsi come entità militare superiore alle milizie e brigate locali.

Che fine hanno fatto i terroristi?
Prima dell’operazione Bunyan Marsous che ha portato alla cacciata dei miliziani di Daesh nel dicembre 2016, secondo l’intelligence occidentale circa 6000 membri dell’Isis si sarebbero trovati nell’area di Sirte, di questi circa la metà erano combattenti e l’altra metà responsabile della logistica e della propaganda, spesso affidata alle donne. Secondo il procuratore libico, circa 2mila uomini del Califfato sarebbero morti, il che suggerisce che queste stime siano state gonfiate o che molti siano riusciti a fuggire. Ad ogni modo molti dei sopravvissuti sarebbero ancora in Libia, spostandosi in piccoli gruppi nel deserto a sud-ovest di Sirte e vicino ad altre città che erano anche roccaforti di gheddafisti come Wershefana, dove da poco è stato ristabilito l’ordine, e Bani Walid, vicino a Uweinat nel sud-est, e in Sabratha ad ovest, così come attraverso i territori controllati da nessuno nel sud, mentre molti stranieri si sono diretti verso i loro paesi di origine, come Niger e Mali dove sono attive le forze francesi ed ultimamente quelle della cabina di regia di Minniti impegnate nella missione G5 Sahel. In molti casi infatti, le milizie locali non si scontrano con i fuggitivi dell’ISIS e le stesse forze di Bunyan Marsous sono rimaste a Sirte piuttosto che inseguirle. Anche nell’area del Golfo di Sirte, in prossimità delle forze dell’Operazione Dignità, molti membri o simpatizzanti dell’ISIS sono tornati a mescolarsi nelle loro comunità mantenendo un profilo basso, ma non per questo innocui.

La città di Sirte dopo oltre un anno dalla sua liberazione.
I segni della guerra al terrorismo si sono aggiunti a quelli della rivoluzione di febbraio. Interi complessi residenziali sono stati rasi al fuoco, i restanti presentano i fori dei colpi di mortaio, strutture pericolanti e vetrate rotte. Un paesaggio da film horror tra auto carbonizzate, acciaio mutilato e altri detriti di guerra senza parlare di morti e spazzatura che si mischiano agli odori delle fogne che spesso non funzionano, come descrive di recente Sudharsan Raghavan sul Washington Post. L’ambiente malconcio riflette le vite dei residenti che vivono un doppio disagio, costretti a subire le critiche e le milizie di Misurata che li accusano che avrebbero preferito Daesh. Oltre al rischio di epidemie, non vanno sottovalutati gli aspetti psicologici che hanno devastato il tessuto sociale, questi emergono chiaramente dialogando in rete con alcuni giovani fuggiti da Sirte o che ancora vivono li. Mohamed ci dice ad esempio di aver perso diverse volte il telefono nell’arco di un mese, mentre la notte non dorme, di giorno non ha interessi. Essendo un sostenitore del rais che chiama “fratello leader”, è rimasto attaccato all’idea di un passato che non tornerà più. Il prolungarsi di questa situazione fa rimanere aperta la probabilità che l’Isis o altri movimenti della galassia jihadista risorgano, magari con nomi diversi, facendo leva sulle stesse motivazioni che li hanno visti nascere la prima volta.