Libia. Guardia Costiera recupera i migranti e li riporta a Tripoli

di C. Alessandro Mauceri

La notizia è stata diffusa con un paio di giorni di ritardo ma la sua importanza potrebbe stravolgere la questione migranti.
Un barcone con a bordo 300 migranti salpato dalle coste della Libia è stato intercettato dalla sorveglianza aerea mentre era ancora in acque libiche (secondo altre fonti invece avrebbe inviato una richiesta di soccorso alla centrale operativa di Roma della Guardia Costiera italiana).
Una volta ricevuto il segnale, la Guardia Costiera italiana ha avvisato la Guardia Costiera libica, alla quale l’Italia ha donato anche alcune unità navali, che ha raggiunto l’imbarcazione dei migranti che stava già navigando in acque internazionali e ne ha preso il comando riportando il mezzo nel porto di Tripoli.
Secondo le autorità si sarebbe trattato della conseguenza degli accordi di collaborazione sottoscritti il 2 febbraio tra Italia e Libia in materia di migranti. Ma quell’accordo sottoscritto da capo del governo italiano Paolo Gentiloni e da Fayez al Sarraj, presidente del “governo riconosciuto dalla comunità internazionale” era stato dichiarato “nullo” in quanto non sottoscritto anche dal governo “di Tobuk”.
Non è un caso se il 14 febbraio, subito dopo la stipula dell’accordo, un gruppo di giuristi, ex politici e intellettuali libici aveva presentato un ricorso alla corte d’appello di Tripoli, sostenendo il memorandum firmato tra i due paesi “incostituzionale”. Innanzitutto perché, prima di essere firmato dal primo ministro “di Tripoli” Fayez al-Sarraj, avrebbe dovuto essere approvato dal parlamento libico e dal governo all’unanimità e poi perché quell’accordo implicherebbe impegni onerosi da parte di Tripoli non contenuti nel trattato di amicizia tra Italia e Libia stipulato nel 2008, a cui il memorandum s’ispira, nonostante l’accordo dei mesi scorsi prevedesse un sostegno finanziario dell’Italia alla Libia. Finanziamenti da parte dell’Italia che non sono stati quantificati, così come vago appare l’impegno da parte della Libia.
Secondo i ricorrenti, come ha detto l’avvocato Azza Maghur, l’accordo tra l’Italia e la Libia violerebbe anche i regolamenti europei sull’asilo, dato che permette il respingimento dei profughi in un paese che non riconosce la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e che non può essere considerato sicuro.
Ma a sollevare dubbi sull’accordo sottoscritto dal premier Paolo Gentiloni erano stati anche alcuni giuristi italiani, come Paolo Bonetti, professore di diritto costituzionale, che ritiene che il memorandum non rispetta l’articolo 80 della costituzione italiana, che prescrive la ratifica da parte del parlamento dei trattati internazionali che sono di natura politica e che implicano oneri finanziari da parte dello stato. Anche sotto il profilo umanitario secondo Bonetti l’accordo farebbe acqua più di una delle carrette del mare usate dai migranti: violerebbe la Convenzione europea sui diritti dell’uomo, per gli stati membri dell’Unione Europea inderogabile.
Dello stesso avviso anche Chiara Favilli, esperta di politiche europee di immigrazione e asilo e professoressa di diritto europeo, che ha richiamato l’attenzione sulla sostenibilità economica del memorandum e sull’origine dei finanziamenti da utilizzare: “Nel memorandum Italia-Libia si precisa che non ci saranno stanziamenti aggiuntivi oltre a quelli già previsti, ma non si capisce bene a quale previsione ci si riferisce”.
Ombre che, per l’ennesima volta (dopo i numerosi accordi e strette di mano tra membri di tutti gli ultimi governi italiani che si sono succeduti e i leader libici, a cominciare dallo stesso Gheddafi), riapre la questione migranti.
Una questione ormai annosa e costosa per le tasche degli italiani, che pone diversi quesiti ai quali nessuno ha finora mai voluto rispondere. A cominciare dal fatto che quelli che arrivano nella stragrande maggioranza non sono rifugiati politici o profughi: sono solo persone che fuggono dai propri paesi perché i governi sono dispotici (anche se riconosciuti internazionalmente) o a causa del land grabbing, causato dall’espansionismo economico della Cina ma anche da aziende europee. Questi migranti, una volta che vengono soccorsi in mare, in base alle regole del diritto nautico internazionale non sono più tali ma dei naufraghi. Con tutte le conseguenze che ciò comporta tra cui l’obbligo che “ogni operazione e procedura come l’identificazione e la definizione dello status delle persone soccorse, che vada oltre la fornitura di assistenza alle persone in pericolo, non dovrebbe essere consentita laddove ostacoli la fornitura di tale assistenza o ritardi oltremisura lo sbarco”. In altre parole, se non in Libia (il porto più vicino), una volta soccorsi i “naufraghi” dovrebbero essere condotti al primo porto sicuro (Malta o la Tunisia, ma certo non l’Italia) e lì sbarcati. Solo allora si procede al riconoscimento dei naufraghi, come prevede una circolare dell’IMO del 22 gennaio 2009, la quale afferma che “Le operazioni volte ad accertare lo status giuridico delle persone tratte in salvo devono essere svolte una volta che queste sono state sbarcate in un luogo sicuro”.
Ultimo ma non meno importante quesito, dopo quanto è avvenuto nei giorni scorsi, è come mai se esistono queste procedure per la segnalazione alle autorità libiche (corrette o meno che siano), il governo italiano le sta adottando solo ora, dopo lo scoppio dello scandalo ONG con annesse beghe processuali? Tante troppe domande tutte senza risposta. Cosa questa che conferma che, forse, il problema dei migranti (o dei naufraghi) è uno di quelli che a molti fa comodo che non si risolva.