Libia. Haftar ci riprova con Lavrov, che però lo rimanda all’Onu

di Enrico Oliari

Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha sostanzialmente risposto picche alla richiesta del generale Khalifa Haftar, uomo forte del governo “di Tobruk”, di intervenire in qualche modo nel caos libico. Per dirla in termini diplomatici, Lavrov ha risposto alle richieste di Haftar spiegando che “La situazione in Libia rimane complicata e, sfortunatamente, la minaccia terroristica non è ancora stata risolta. Tuttavia sappiamo delle iniziative messe in atto per eliminarla”: vi è il sostegno di Mosca per le iniziative finalizzate a “galvanizzare i processi per una soluzione politica e per il ripristino delle istituzioni statali”, tuttavia “è molto importante ora concentrare tutte le idee di mediazione attorno all’Onu”.
Quella di oggi non è stata la prima visita del potente generale libico in Russia, tanto che in novembre si era recato a Mosca per incontrare il ministro della Difesa Sergei Shoigu e quello degli Esteri Sergei Lavrov al fine di ottenere armi, ed in gennaio era salito con altri alti ufficiali a bordo della portaerei Admiral Kuznetsov, di rientro con il suo gruppo dalla Siria, per invitare i russi ad intervenire in Libia, promettendo loro persino una base aerea in Cirenaica.
La Russia tuttavia non ha evidentemente intenzione di mettere lo scarpone nel marasma libico essendo già presente in quello siriano, ed inoltre non c’è nelle intenzioni del Cremlino quella di aprire un conflitto diplomatico con l’occidente, essendo la Libia zona di influenza italiana.
D’altro canto Haftar non rappresenta uno dei migliori cavalli su cui puntare: il generale avrebbe voluto essere nominato ministro della Guerra nel governo di unità nazionale, ma i suoi detrattori di Tripoli lo accusano di essere stato al soldo di Washington in quanto, fatto prigioniero nel 1987 dall’esercito ciadiano in occasione della “Guerra delle Toyota”, è stato poi prelevato dalla Cia e portato negli Usa, dove vi è rimasto fino al 2011 per ricomparire in Libia a comandare la piazza di Bengasi nell’insurrezione che ha portato alla deposizione di Muammar Gheddafi. A Tripoli, insomma, non lo vogliono: perché la Russia dovrebbe puntare su di lui, che per di più potrebbe avere ancora legami con la Cia, essendone debitore?
Per cui Lavrov ha preferito essere chiaro, affermando che “è molto importante ora concentrare tutte le idee di mediazione attorno all’Onu”: il governo riconosciuto dall’Onu non è quello di Tobruk, presieduto da Abdullah al-Thinni e non da Haftar, bensì è quello di Tripoli.
Al generale libico non è restato altro che affermare in conferenza stampa che ogni aiuto da Mosca sarà benvenuto e che “Saremo molto lieti se la Russia favorirà in qualche modo” la mediazione dell’Onu, in realtà già in atto attraverso l’inviato speciale Ghassem Salemè.
Per mettere i bastoni tra le ruote di Haftar, ma anche per affermare il proprio ruolo, in marzo si era recato da Lavrov il capo del governo “di Tripoli” Fayez al-Serraj, ed a lui il ministro degli Esteri russo aveva detto che “la Federazione è interessata alla costituzione di un governo stabile in Libia che possa lanciare il processo di ricostruzione”, che serve un “dialogo nazionale inclusivo” in Libia, senza interventi militari in quanto “Siamo convinti che solo il popolo libico possa essere in grado di superare la crisi attuale. Serve quindi una riconciliazione nazionale attraverso il dialogo”.
Detto in soldoni, “arrangiatevi”.