di Enrico Oliari

Coinvolge l’Italia l’ennesima polemica interlibica tra la parte “di Tobruk” e quella “di Tripoli, in lotta tra loro con le reciproche accuse di governo illegittimo.
Polemica partita ben prima del presunto golpe di ieri a Tripoli, quando alcune milizie islamiste fedeli al precedente premier Khalifa al-Ghweil sono penetrate in alcuni ministeri, in un’azione più che altro dimostrativa, del tutto simile al quella dello scorso ottobre.
Due giorni fa infatti l’Italia ha riaperto l’ambasciata di Tripoli, e da subito a Tobruk si è parlato di “gesto ostile” e di “invasione miliatre” da parte del governo italiano.
Va detto che l’Italia, come la comunità internazionale, sta riconoscendo il governo di unità nazionale presieduto da Fayez al-Serraj, frutto delle mediazioni Onu prima di Bernardino Leon e poi di Martin Kobler, ma che a comporre la parte “di Tripoli” vi è un po’ di tutto, compreso le milizie islamiste di “Alba della Libia”, a cui partecipano gli integralisti di Ansal al-Sharia, cioè legati ad al-Qaeda e di certo poco propensi alla democrazia.
Un quadro complesso, che vede la Libia essere una realtà solo sulla carta, frammentata in 135 tribù armate fino ai denti e perennemente in lotta tra di loro.
L’Italia, come la comunità internazionale, ha sostenuto fino al 2015 il governo “di Tobruk” in quanto frutto delle elezioni del giugno 2014, costretto alla fuga ad est proprio dai miliziani di Alba della Libia e dalla potente tribù di Misurata, i quali hanno scalzato da Tripoli i combattenti della tribù di Zintan.
Nonostante le forti pressioni, Tobruk non ha mai voluto entrare a far parte del governo di unità nazionale, non tanto per una questione di visione confessionale o laica della forma dello stato, come qualcuno ha detto, bensì perché l’uomo forte del governo non è il premier Abdullah al-Thinni, bensì il capo dell’esercito generale Khalifa Haftar.
Su Haftar ruota buona parte del problema.
Il generale avrebbe voluto essere nominato ministro della Guerra nel governo di unità nazionale, ma i suoi detrattori lo accusano di essere stato al soldo di Washington in quanto, fatto prigioniero nel 1987 dall’esercito ciadiano in occasione della “Guerra delle Toyota”, è stato poi prelevato dalla Cia e portato negli Usa, dove vi è rimasto fino al 2011 per ricomparire in Libia a comandare la piazza di Bengasi nell’insurrezione che ha portato alla deposizione di Muammar Gheddafi.
Haftar, che in passato ha persino minacciato l’Italia di inondare le coste di profughi nel momento in cui non fossero state fornite armi (in realtà poi pervenutegli dall’asse emiratino-egiziano), si è avvicinato al Cremlino con il proposito di trovare lì il partner forte. In novembre si era recato a Mosca per incontrare il ministro della Difesa Sergei Shoigu e quello degli Esteri Sergei Lavrov, e ieri si è recato con altri alti ufficiali a bordo della portaerei Admiral Kuznetsov, di rientro con il suo gruppo dalla Siria, proprio per mostrare urbi et orbi le sue intenzioni.
La Russia è già riuscita a mettere il piede in Egitto, altro alleato di Tobruk, dopo che l’amministrazione di Barak Obama ha sostenuto i Fratelli Musulmani di Mohammed Morsi contro l’attuale governo di Abdel Fatah al-Sisi, per cui ad Alessandria sorgerà una base navale russa. Haftar, in cambio del sostegno, ha in questi giorni stretto un’intesa con i russi per la costruzione di una base in Cirenaica e, a quanto riportano i media arabi, starebbe cercando di assicurarsi il controllo delle basi aeree situate nella parte sud-orientale del paese.
Lì si avvallerebbe del supporto delle milizie delle tribù fedeli all’ancien régime, cioè al defunto colonnello Muammar Gheddafi, le quali preferirebbero sostenere Tobruk piuttosto che Tripoli.
E’ in corso, come riporta l’agenzia turca Anadolu, un tentativo di espansione di Haftar, che potrebbe tradursi con una guerra nel centro-sud della Libia contro le armate della potente tribù di Misurata al fine di conquistare le zone desertiche e accerchiare la Tripolitania per poi attaccare.
Uno scenario drastico, che potrebbe comportare l’intervento della comunità internazionale in una situazione dove si inserirebbe la Russia.
E, siccome chi controlla il petrolio controlla tutto, Haftar con i suoi militari ha in mano i principali pozzi petroliferi, cioè Zueitina, Brega, Ras Lanuf e al-Sidra.
Il quadro vede, per farla breve, la comunità internazionale sostenere il governo di Faez al-Serraj, a Tripoli, la Turchia e il Qatar essere con Khalifa al-Ghweil e l’Egitto e la Russia stare con il governo di Tobruk, presieduto da al-Thinni ma dove detta legge Khalifa Haftar.
Ieri il generale “di Tobruk” ha anche accusato l’Italia di essere entrata nelle acque territoriali libiche con navi cariche di armi e di soldati, ma il portavoce della Marina libica (del governo riconosciuto), colonnello Ayub Gassem, ha negato ogni violazione delle acque territoriali libiche da parte di navi italiane e ha spiegato che “Quello che abbiamo registrato di fatto è stata la presenza della nave italiana San Giorgio che opera nell’ambito della missione Sofia (Eunavfor Med, per i profughi naufraghi) che si è avvicinata alla costa libica prima di entrare nelle acque territoriali libiche nell’ambito dell’accordo per l’addestramento tra la marina libica e quella italiana”.
Tanto è bastato però per scaldare ulteriormente gli animi.