Libia. Italiani brava gente? C’è chi ancora ci crede

di Vanessa Tomassini – 

Ieri il quotidiano digitale “Difesa online” ha pubblicato una lettera incredibile dove viene confessato da parte di un libico il profondo amore per l’Italia e gli italiani, quasi a richiedere una nuova occupazione. Ma se non bastasse, la missiva afferma che “il popolo libico, tutto, sia quello che è sempre stato fedele ideologicamente a Gheddafi che quello vittima del lavaggio del cervello mediatico occidentale, TUTTO IL POPOLO LIBICO rimpiange oggi il periodo gheddafiano: tutti avevano da mangiare, nessuno chiedeva l’elemosina e nelle strade regnavano sicurezza e pulizia”. Sarebbe da chiederlo a coloro che sono stati torturati nelle carceri gestite da Gheddafi, bisognerebbe chiederlo a Marwan che a soli diciotto anni, a Misurata, ha visto i suoi fratelli brutalizzati dal regime. Chissà se anche la sua famiglia rimpiange Gheddafi? La verità è un’altra, cari signori. La verità è che “se Muammar Gheddafi avesse investito di più nella cultura, nell’educazione, probabilmente la Libia non sarebbe ridotta così”, ci dice un discendente dello stesso rais. È vero, durante gli anni del regime la sicurezza veniva garantita, ma a quale prezzo? La questione libica è estremamente frastagliata, e se l’autore della lettera non ne fosse cosciente, dovrebbe saperlo chi redige un giornale.
Gran parte della guerra viene condotta proprio attraverso internet e i media. Simpatizzanti di una o dell’altra fazione hanno organizzato delle vere e proprie lobby, che decidono quali notizie pubblicare, in quali circostanze e come. Sono loro a decidere tempi e protagonisti del nuovo processo politico che aspetta ai libici, non ai legali di un condannato dalla corte di giustizia internazionale che finanzia un intero canale televisivo. Non vi siete chiesti perché le notizie prendono di mira un determinato soggetto tirando fuori video ormai dimenticati, proprio nel momento di una missione diplomatica? Ci sono cascata io stessa, più e più volte anche se non ho preso mai un quattrino. La lettera prosegue: “i media non dicono che se in Libia si facesse un referendum (a voce, visto che l’analfabetismo è tornato elevato) e si facesse scegliere tra: un nuovo capo, un parlamento o un commissariamento italiano (e non “europeo” si badi bene, perché ci sentiamo fratelli di voi italiani e non di quegli sbruffoni dei francesi, né di quelli che si sentono i padroni del mondo come i tedeschi, tanto meno dei doppiogiochisti inglesi o dei famigerati guerrafondai americani) vincerebbe sicuramente il commissariamento italiano!”. Andrea Cucco, che ha firmato il pezzo dice “ho deciso di pubblicare la sua lettera perché è l’ennesima testimonianza di un sentimento comune a molti suoi compatrioti: la nostalgia dell’Italia. Una stima che ogni volta che ricevo una missiva dalla Libia mi lascia spiazzato, incredulo”. Quindi, caro Andrea, potrebbe chiedere a chi le scrive se è per questo che, quando il mese scorso è stata deliberata dal nostro governo la missione navale italiana di supporto alla guardia costiera libica, centinaia di libici hanno bruciato bandiere tricolori e sono scesi in piazza a Tripoli e Bengasi, calpestandole e recitando slogan inneggianti alla Jihad. Ma la mia domanda è questa: la lettera, che non aggiunge nulla di nuovo, è un attacco ai migranti, al nostro governo, o un incoraggiamento “alla Luttwak” ad un’occupazione italiana, che malgrado quanto chi scrive vuole farci credere, è vista tutt’altro che di buon occhio?
È vero, i libici sono stanchi, Ghassan Salamè, rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Libia, durante il suo recente discorso all’Assemblea Generale Onu ha descritto molto bene le sofferenze del popolo libico, che sono un po’ quelle che chi le parla le racconta, a modo suo. Sa cosa sarebbe opportuno? Farsi da parte, come abbiamo voluto l’Italia agli italiani, proviamo a lasciare la Libia ai libici. Lasciamo che abbia corso il processo di dialogo avviato in questi giorni a Tunisi così che, una volta raggiunta una stabilità con i loro tempi e le loro priorità, anche le nostre imprese, se i libici vorranno, potranno tornare in Libia e contribuire finalmente alla crescita della loro nazione, con tutti i vantaggi del caso.

Le foto sono di manifestazioni di protesta anti-italiani tenutesi Bengasi lo scorso anno.