Libia. Scontri tra tribù nel sud, feriti e paura a Sebha

di Vanessa Tomassini – 

La situazione nella zona meridionale della Libia sta subendo in queste ore un netto peggioramento. Le persone sul posto riferiscono di continui spari e scorribande e la mancanza di sicurezza è ormai totale. Gli scontri si erano accesi la scorsa settimana quando la sera di mercoledì 31 gennaio un uomo appartenente al clan Awlad Sulieman ha ucciso Ahmed Adel del clan Tebu e ferito altri due suoi amici, sparando alcuni colpi dall’interno di una macchina verso un bar nel distretto di Nassirya, nella zona nord della città di Sebha. Immediatamente è arrivata la risposta del clan rivale che ha vendicato la sparatoria al bar, uccidendo diverse persone con pesanti attacchi di artiglieria. La situazione non accenna a migliorare anzi, secondo molti, è possibile una recrudescenza in quanto altre tribù dalla zona occidentale ed orientale potrebbero intervenire schierandosi con l’una o l’altra parte.
Da anni vanno avanti gli sforzi della comunità internazionale per cercare di mettere pace tra le grandi tribù che controllano la Libia meridionale da cui transita la grande massa dei flussi migratori provenienti dal Sahel. Secondo l’agenzia europea Frontex, la città di Sebha rappresenta il primo centro di smistamento migranti per i trafficanti che organizzano i viaggi verso la zona costiera. A fine marzo 2017 le tribù Tebu, Tuareg e Awlad Suleiman avevano firmato a Roma un accordo di pace, dopo mesi di colloqui facilitati dal Governo di Accordo Nazionale, ma soprattutto sotto le pressioni delle altre tribù determinate a ripristinare la pace e la sicurezza in tutto il paese. Nel 2015 anche il Qatar aveva tentato la stessa strada, ma quell’accordo era stato rotto dopo pochi anni.
Diversi feriti sono stati trasportati ieri all’unico centro medico della città, il Sebha Medical Center. I giovani sono molto stanchi di questa situazione: “le istituzioni ci hanno sempre abbandonato – ci dice Hamed, un 28enne di Sebha – siamo stati lasciati in mano a queste tribù fin dall’epoca di Gheddafi. Ognuno qui fa ciò che vuole: sparano, si ammazzano, smerciano armi, droga, di tutto”. “I libici che vivevano qui da anni – ci spiega Hamed – sono stati occupanti fin dalla dichiarazione di Marzo del compianto colonnello Muammar Gheddafi nel 1970. Siamo stati derubati delle nostre vite e i beduini e alcune tribù nomadi si sono impossessati delle nostre proprietà, poi nel 1990 abbiamo assistito al ritorno di grandi tribù dal Niger e dal Ciad, così i piccoli clan hanno fatto posto a quelle dei Gheddafi, dei Suleiman, dei Werfalla ed altri. Siamo stati da sempre occupati da tribù nomadi, beduini, gente abituata a vivere nel deserto del Sahara che conoscono solamente la forza del loro braccio. I criminali vivono a fianco alla gente per bene, preghiamo nella stessa moschea, quando l’innocente non sa cosa gli aspetta. Dopo tutti questi anni che sento parlare di interventi stranieri, mi chiedo perché non sono venuti nel sud? Solo un intervento militare esterno di Italia, Gran Bretagna, Usa o chiunque sia, potrebbe mettere fine a tutto questo”.