Libia. Tripoli accusa, ‘uomini di Haftar gli attentatori che volevano colpire l’ambasciata italiana’

di Enrico Oliari –

Il Libya Observer ha riportato oggi le rivelazioni delle Forze speciali di Deterrenza (Rada) del governo di accordo nazionale libico secondo cui le identità dei tre terroristi che hanno tentato di farsi esplodere con un’autobomba nei pressi dell’ambasciata italiana di Tripoli sarebbero uomini del generale “di Tobruk” Khalifa Haftar.
Dei tre attentatori due sono morti nell’autobomba esplosa il 21 gennaio a poche centinaia di metri dalla rappresentanza diplomatica, nei pressi del ministero della Pianificazione, mentre un terzo sarebbe ancora in fuga ma identificato dalle telecamere.
Gli attentatori non sono riusciti a raggiungere l’obiettivo per il fatto che la via era chiusa al traffico privato ed il veicolo è stato respinto dagli agenti di polizia, i quali hanno inseguito l’auto che poi è esplosa. Le loro intenzioni erano quelle di parcheggiare il veicolo imbottito di esplosivo davanti all’ambasciata e quindi essere recuperati dal terzo uomo per poi fuggire.
Per il portavoce della Rada, Ahmed Salem, “L’obiettivo del fallito attentato contro l’ambasciata italiana era politico, minare la sicurezza nella capitale”, ed i tre uomini indicati come gli attentatori sono Milood Mazin Hamza Abu Ajilah e Omer Kabout, quest’ultimo al momento in fuga.
Omer Kabout è indicato come un importante comandante di Dignità della Libia, ovvero delle milizie anti-islamiste che si oppongono nella parte occidentale del paese ad Alba della Libia, la sigla che raccoglie le milizie salafite e persino vicine ad al-Qaeda (Ansar al-Sharia) che sono dalla parte del governo di accordo nazionale, frutto delle mediazioni Onu e riconosciuto dalla comunità internazionale.
La rappresentanza italiana è stata riaperta il 9 dicembre dopo il gradimento dell’ambasciatore Giuseppe Perrone espresso dal governo “di Tripoli”; era stata chiusa insieme alle altre rappresentanze diplomatiche nell’estate del 2014 a seguito dei combattimenti delle milizie islamiste e della tribù di Misurata contro quelle della tribù di Zintan per il controllo della capitale, battaglia che aveva costretto il parlamento e il governo eletti nel giugno di quell’anno a riparare a Tobruk.
Khalifa Haftar aveva definito “un invasione il ritorno militare dell’ambasciata italiana nella capitale”, anche se lo stesso sta facendo i salti mortali per ricevere armi da Mosca ed aprire le porte della Libia orientale ai russi.
Il risentimento di Haftar verso gli italiani si è palesato dopo il ritiro dell’appoggio di Roma al governo e parlamento “di Tobruk” e soprattutto per il rifiuto del’Italia di fornire armi al generale, che nell’occasione aveva anche minacciato di far invadere l’ex paese colonizzatore dai migranti.
Oggi Haftar, forte delle armi ottenute dall’asse emiratino-kuwaitiano e dell’appoggio, al momento solo politico, della Russia (ha promesso a Mosca una base in Cirenaica), sta trattando con le tribù del sud e con le milizie dell’ancien régime che sopravvivono nel deserto al fine di circondare con una manovra a tenaglia la Tripolitania.
In realtà Haftar, che è il vero uomo forte “di Tobruk”, si era detto disponibile ad aderire al governo di accordo nazionale presieduto da Fayez al-Serraj in campo della poltrona di ministro della Difesa, ma a Tripoli nessuno lo vuole, specialmente le milizie islamiste, in quanto viene accusato di essere stato al soldo di Washington poiché, fatto prigioniero nel 1987 dall’esercito ciadiano in occasione della “Guerra delle Toyota”, è stato poi prelevato dalla Cia e portato negli Usa, dove vi è rimasto fino al 2011 per ricomparire in Libia a comandare la piazza di Bengasi nell’insurrezione che ha portato alla deposizione di Muammar Gheddafi.