L’Italia nel sud del Mondo

di Marco Corno

Klemens von Metternich, cancelliere dell’impero austriaco dal 1821 al 1842, affermava che: “La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimere”.
Il rebus identitario italiano costituisce un continuum nella storia politica del paese i cui effetti negativi si riversano sulla politica internazionale che, per essere efficiente, necessità di una strategia culturale nazionale condivisa e riconosciuta dal popolo italiano. L’asperità italiana circa il ruolo da ricoprire all’interno dell’ordine internazionale genera una mistione tra incertezza e idiosincrasia nei confronti delle sfide mondiali considerate problemi da delegare agli alleati. Ne deriva che Roma assume una posizione secondaria nella sfera euroatlantica rischiando di compromettere i propri interessi a vantaggio di altri stati, in un mondo sempre più globalizzato in cui è lo scenario internazionale ad influenzare lo scenario nazionale. L’impasse genera anche una crisi sistemica nei partiti nazionali, come avvenuto nella campagna elettorale per le elezioni del 4 marzo, le cui relazioni internazionali dell’Italia sono state considerate secondarie se non marginali nei programmi elettorali tant’è che il recente bombardamento americano in Siria, per il presumo utilizzo di armi chimiche da parte del regime di Damasco, non ha riscontrato una precisa presa di posizione da parte dei leader politici. L’abulia politica dell’Italia ne riduce conseguentemente anche la proiezione strategica. Si afferma la necessità di riscatto del paese nel quadro europeo dimenticando però che Roma dovrebbe invece operare in una grande area geopolitica denominata euro-mediterranea, stricto sensu, dallo stretto di Gibilterra fino al Bosforo e ai Dardanelli. Il futuro del “Regno di Sardegna” si deciderà nel sud del mondo ed è quindi fondamentale che il paese assuma il ruolo di “guardiano del Mediterraneo”, ricoprendo la funzione geopolitica delle repubbliche marittime del passato come Venezia e Genova, diventando una grande potenza di sea-power attribuendo, tout court, alle crisi internazionali bagnate dal mediterraneo una connotazione nazionale. Infatti, al giorno d’oggi i confini italiani non sono più geografici ma geopolitici con una naturale tendenza a sovrapporsi alle attuali crush zone mediterranee (Libia, Egitto e Siria).
Per quanto riguarda la Libia, importanti risultati si sono raggiunti da qualche anno a questa parte ma la situazione è ancora lontana dall’essere risolta nonostante si sia attivato un grande progetto di cooperazione internazionale a guida italiana che ha permesso di regolare il flusso di profughi, combattere il traffico di essere umani e risolvere la diatriba Tripoli-Tobruk. Il passo successivo è l’effettiva stabilizzazione del paese che potrà avvenire soltanto con allocazioni di fondi nel settore agricolo, energetico, idrico e infrastrutturale al fine di sviluppare un grande commercio libico che potrebbe diventare terra di sviluppo economico per la manifattura italiana oltre che un efficiente “cura” per combattere la disastrosa disoccupazione giovanile.
L’Egitto è uno dei partner commerciali più importanti in Africa ma il caso Regeni necessità di essere risolto e l’Italia non può “girare la testa” davanti ad un fatto cosi grave solo per evitare crisi diplomatiche che potrebbero compromettere gli interessi dei due paesi, considerando la morte del giovane ricercatore italiano come un caso epifenomenico.
La geopolitica mediterranea dovrebbe prevedere una proiezione strategica della penisola anche in Medio Oriente. L’Italia si dovrebbe opporre con tutte le proprie forze all’aggressività di Israele nei confronti dei palestinesi (questione Gerusalemme capitale) e del mondo mussulmano sciita a guida iraniana. La querelle sul nucleare iraniano rischia di creare una catastrofe geopolitica dalle conseguenze imprevedibili qualora dovesse degenerare in una guerra tra Teheran e Tel Aviv. Inoltre, un eventuale annullamento dell’accordo sul nucleare iraniano danneggerebbe il commercio estero italiano che ammonta all’incirca a 30 miliardi di dollari. Roma ha l’occasione per farsi promotrice di un grande front runner europeo anti-americano insieme a paesi come la Francia, le Germania e l’Inghilterra nel tentativo di salvaguardare le buone relazioni con l’Iran e riscattare la posizione di Roma all’interno dell’Unione Europea.
Tuttavia, il progetto geopolitico italiano per essere efficiente deve superare il limes mediterraneo e concentrarsi in un’altra area geopolitica essenziale, il Corno d’Africa.
L’espansione di influenza nell’Africa Orientale non costituisce un quid pluris ma un obiettivo importantissimo per fare del paese una grande potenza marittima. La posizione geografica delle ex colonie italiane bagnate sia dal Mar Rosso che dall’Oceano Indiano garantirebbero allo stivale una posizione centrale in una delle rotte mercantili più importanti del mondo. Etiopia, Eritrea, Gibuti e Somalia, in un futuro non troppo lontano, potrebbero diventare lo hub delle nuove vie della seta cinese marine. In Gibuti Pechino ha costruito la sua prima base militare in Africa e l’Italia deve cogliere la “palla al balzo” rafforzando le proprie relazioni con le ex colonie ponendosi come mediatore per risolvere i separatismi e i conflitti etnici in Somalia, favorire l’apertura politico-economica dell’Eritrea e lo sviluppo economico dell’Etiopia la cui proiezione strategica soprattutto per il controllo idrico della regione, proietterebbe l’Italia anche nel vicino Sudan, una dei “leoni africani” cinesi. Il trade finance italo-cinese sarebbe solo una conseguenza delle buone relazioni che si instaurerebbero tra Roma e Pechino in Africa che culminerebbero nella costruzione di grandi porti commerciali sulle coste del Corno d’Africa. Gli investimenti africani avrebbero delle conseguenze positive anche in Italia considerata dai cinesi uno dei punti nevralgici del Belt Road Initiative (Bri) grazie alla posizione strategica dei porti italiani, essenziali per l’arrivo delle merci in Europa via mare, che necessitano di essere ampliati e ristrutturati.
In nuce l’Italia necessità di uscire dal suo stato di subalternità se non vuole essere “schiacciata” dal peso geopolitico degli eventi e l’Africa può essere un’opzione solo se Roma non considererà il sud né terra nullius né blocco dei profughi ma una terra di opportunità nel quale investire per creare un prosperoso futuro anche a costo di inimicarsi paesi come la Francia.