Messico, terra dei Narcos: tra Pil in crescita e teste mozzate

di Domenico Carbone

I narcos sparano, l’economia cresce. Sono questi i due presupposti fondamentali per dipingere un ritratto chiaro ed obiettivo della situazione vigente in Messico. Perché nonostante la nazione centroamericana compaia nella classifica delle venti al mondo in cui si consuma il maggior numero di omicidi (secondo una graduatoria stilata dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine) e due delle sue città (Acapulco e Culiacán) rientrino tra le venti più pericolose del pianeta, la situazione economica sembra aver intrapreso il giusto ritmo. Il Pil nazionale nel terzo trimestre dell’anno è cresciuto dell’1,9% su base annua e ciò non può essere solo un caso.
Perché se da una parte quasi ogni giorno vengono rinvenute persone, o gruppi di persone, massacrate a colpi di pistola e machete, dall’altra assistiamo ad una sempre più costante forza attrattiva del paese nei confronti dei grandi gruppi industriali. Già da qualche anno è presente nel territorio il più grande stabilimento L’Oréal al mondo per la colorazione di capelli.

Messico crescita economica fuori

Ma anche i nostri marchi scommettono sulla crescita messicana, come ad esempio la Fiat (oggi FCA), la quale accrescerà fino al 2019 la produzione dei suoi pick up nello stabilimento di Saltillo. E se già da tempo gruppi industriali come Natuzzi e Pirelli rappresentano solide realtà nel panorama industriale messicano, la bergamasca Brembo, produttrice di impianti frenanti e quotata in borsa, ha da poco aperto un nuovo impianto nella città di Escobedo, capace di offrire lavoro a oltre cinquecento persone e di generare un fatturato annuo di circa 100 milioni di euro.
Ma pur non arrestandosi il calo della disoccupazione nazionale, scesa ad agosto al 3,8% (non male davvero per uno Stato popolato da oltre 120 milioni di persone), non si placa neanche l’attività criminale dei cartelli del narcotraffico. Proprio il mese scorso è stato ucciso con un colpo di pistola alla testa Vicente Antonio Bermúdez Zacarías, magistrato da tempo impegnato nella lotta al narcotraffico. A sei uomini e una donna, sempre ad ottobre, sono state mozzate le mani in quanto considerati “rateros” (ladruncoli) e altre quattro persone impegnate nella attività di catechismo cattolico e volontariato sono state rapite, torturate e uccise.
Una situazione questa che persiste nel territorio da oltre trent’anni. Fu infatti nei primi anni ’80 che i vari gruppi criminali, non ancora organizzati nei tristemente celebri “Cartelli”, entrarono in contatto con Pablo Escobar, il quale cercava un percorso sicuro per trasportare via terra la droga diretta negli Stati Uniti. Fu così che nacque il Cartello di Guadalajara, guidato da Miguel Ángel Félix Gallardo, un ex membro della polizia federale. In breve Gallardo riuscì a farsi carico non solo del trasporto ma anche della distribuzione di Marijuana, cocaina ed eroina e a monopolizzare i traffici in maniera incontrastata. Per l’intero decennio il Cartello dominò indisturbato nella nazione e se ciò avvenne, come accade tuttora, fu anche grazie ai molti appoggi politici e istituzionali. Furono infatti proprio membri corrotti della polizia nazionale a rapire nel 1985 Kiki Camarena, agente della DEA Statunitense, il quale sarebbe poi andato incontro alla morte in seguito alle terribili torture inflittegli.
L’egemonia di Gallardo durò fino alla fine degli anni ‘80, quando decise di affidare ad altri sottogruppi criminali la distribuzione e il controllo dei traffici. Nacquero così numerosi Cartelli che si spartirono i territori entrando poi presto in conflitto.
Fino ai giorni nostri, fino a rendere il Messico uno dei paesi più violenti del pianeta. Proprio lo stesso paese che si pone, seppur con evidenti rallentamenti negli ultimi anni, tra i primi dieci al mondo per la produzione petrolifera. Una nazione in cui però resiste il primato tra i produttori di marijuana. Una scomoda contraddizione, che pone da un lato la speranza e la fiducia derivanti dall’essere divenuto uno degli Stati più attraenti sul mercato, dall’altra la disperazione causata da tale sistema criminale, capace di mietere vittime senza Lopez Gregorio granderisparmiare nessuno, nemmeno innocui sacerdoti cattolici. Il più celebre tra gli assassinati fu don Gregorio López Gerónimo, sacerdote di Apatzingán che denunciava le attività criminali facendo i nomi dei responsabili e indossando un giubbotto antiproiettile durante le sue celebrazioni religiose.
Secondo padre López i bambini che incontrava nelle scuole elementari esprimevano il desiderio di diventare narcos per poter avere tanti soldi. Allo stesso tempo il sacerdote accusava le istituzioni di “aver permesso al crimine di controllare tutto”.
Stesse istituzioni grazie alle cui misure l’IEA (International Energy Agency) si è proclamata più ottimista circa la crescita delle energie rinnovabili nel pianeta citando il Messico, assieme a USA, Cina e India, come fautore di un mercato più competitivo e affidabile in materia tecnologica. Non è infatti un caso se il nuovo aeroporto di Città del Messico, attualmente in costruzione, viene già considerato come il futuro aeroporto più ecosostenibile tra quelli esistenti.
Un gioiello d’avanguardia dunque, in una nazione in cui i preti vestono una giubba antiproiettile e i bambini sognano un futuro “alla Escobar”.

Nella prima foto: manifestazione per gli studenti scomparsi; nella terza foto: don Gregorio Lopéz con il suo giubbotto antiproiettile.