Moldavia. Dove si sospende il presidente che non firma le leggi

di Dario Rivolta *

Cosa succede da noi se, come è capitato qualche volta, il presidente della Repubblica non è d’accordo con qualche legge approvata dal Parlamento e non la vuole promulgare? Essa viene rimandata alle Camere e, se di nuovo approvata, il presidente è obbligato a farla sua. Scalfaro respinse 6 leggi, Ciampi 8. Di Napolitano si ricorda soprattutto il no, nel marzo 2010, a un ddl sul lavoro. Quando è successo, le Camere hanno sempre rivisto i testi concordandoli con la presidenza. Il conflitto di poteri si risolve così: con qualche compromesso che, d’altronde, è il sale delle democrazie.
In Moldavia, evidentemente, pensano che il meccanismo sia troppo macchinoso (e troppo democratico) e hanno trovato un’altra soluzione: sospendono temporaneamente i poteri del presidente. Sembrerebbe una barzelletta e invece è proprio ciò che è successo ben due volte in tre mesi. La prima è stata nell’ottobre scorso. Il primo ministro Pavel Filip aveva deciso di cambiare il ministro della Difesa e, quando il presidente ha suscitato dubbi sull’opportunità di farlo, il capo del governo ha fatto dichiarare dalla locale Corte costituzionale che “temporaneamente” il presidente non serviva più. Lo stesso è successo a cavallo del nuovo anno e, anche in quel caso, si trattava di cambiare dei ministri. Questa volta non soltanto uno, bensì sei in un colpo.
È inutile entrare nel merito dei motivi del “rimpasto”. Ciò che balza agli occhi è che in quel Paese non si applica il diritto: lo si interpreta secondo i rapporti di forza del momento. È anche questo il motivo per cui le manifestazioni di piazza contro parlamento e governo si susseguono con ritmi impressionanti e gli obiettivi dei contestatori sono la diffusa corruzione, i politici asserviti ai poteri economici locali e la giustizia mai affidabile.
Apparentemente, la lotta politica è tra i sostenitori di un sempre maggiore avvicinamento all’Europa e coloro che preferiscono mantenere i tradizionali legami economici e culturali con la Russia. In realtà, però, le cose stanno molto diversamente e le “scelte di campo” dei vari partiti sono solo una copertura per interessi del tutto privati di chiunque ricopra incarichi pubblici.
L’esempio più eclatante sta nella figura del maggiore oligarca locale, tale Vlad Plahotniuc. Costui è l’ispiratore (ma faremmo meglio dire “il padrone”) del partito di maggioranza governativa, il Partito Democratico (ironia del nome), e il primo ministro Pavel Filip è una sua totale creazione. Nelle ultime elezioni del 2014 ottenne solo il 15,8 percento dei consensi e 19 seggi sul totale di 101 ma, attraverso una vigorosa campagna “acquisti”, gli fu possibile arrivare a una maggioranza di ben 60 parlamentari. Nelle prossime elezioni, previste per fine 2018, i sondaggi gli attribuiscono non più del sei percento ma, per vincere l’”incomprensione” degli elettori, ha pensato di modificare la legge elettorale attribuendo solo metà dei seggi al metodo proporzionale nazionale e l’altra metà al metodo uninominale. Niente di male, se non fosse che i collegi di quest’ultimo tipo sono di dimensioni tali da diventare “comprabili” da chi possiede i mezzi economici che altri non hanno. Va ricordato che la Moldavia è il Paese più povero di tutto il continente europeo e che, su poco più di tre milioni di abitanti teorici, si stima che almeno un milione sia emigrato e viva all’estero.
Che il nuovo sistema elettorale sia improprio per quel Paese e destinato solo a favorire i partiti che già detengono il potere (il Partito democratico prima di tutti) è quanto pensano sia il Consiglio d’Europa che l’Osce, sia l’Unione Europea che gli Stati Uniti. Tutti questi hanno invitato il governo Moldavo a rivedere la decisione presa ma, almeno per il momento, senza alcun risultato. La Commissione di Venezia ha allora deciso di inviare a fine gennaio una missione nel Paese per cercare di ottenere qualche cambiamento nella legge.
Consci del pericolo di rimanere internazionalmente isolati, la maggioranza in carica e i suoi sponsor hanno da tempo deciso di giocare pesantemente la parte degli “amici dell’Europa” e negli ultimi mesi hanno accentuato gli attacchi a qualunque cosa sia “russa”. A diversi giornalisti di Mosca è stato proibito l’ingresso nel Paese, alla televisione di lingua russa diffusa via etere è stata proibita la traduzione di news e programmi analitici o politici, il Partito Liberale (anche lui “filo-europeo” e ritenuto responsabile della sparizione di miliardi di dollari mai ritrovati, dalle casse pubbliche) ha perfino chiesto che la lingua russa sia bandita da tutti i documenti ufficiali (la maggior parte della popolazione parla e legge correntemente il russo e l’alfabeto cirillico è ancora diffuso, fino a divenire esclusivo in Gagauzia e Transnistria).
Lo stesso Plahotniuc ha recentemente voluto un’intervista con il Wall Street Journal chiedendo un forte sostegno dell’occidente contro la presunta “aggressività” di Mosca. Peccato che, oltre a ricevere tramite il Governo soldi da Bruxelles, lo stesso Plahotniuc gestisce contemporaneamente molti affari proprio con la Russia. Nell’intervista, ad esempio, afferma che capitali russi avrebbero approfittato di banche moldave per “ripulire” 20 miliardi di dollari sporchi. Ha, tuttavia, dimenticato di aggiungere che, se tale “lavaggio” si è veramente svolto, lui non poteva esserne all’oscuro visto che possiede la maggioranza del capitale di una delle banche che avrebbero favorita l’operazione. Anche il procuratore generale deputato a tali controlli è un suo uomo e niente avrebbe potuto succedere senza la sua benedizione. Tra altre amenità, ha chiesto che l’occidente investa (in funzione anti-russa) nel mercato dei media indipendenti, dimenticando che lui possiede il 75 percento del mercato della comunicazione moldava e che ha i diritti di ritrasmissione della maggiore televisione russa seguita nel territorio. Tutti i tentativi di media indipendenti di entrare nel mercato dei media, fossero essi moldavi o di donors occidentali, sono stati sempre ostacolati da lui e dal governo che controlla, fino al punto che Reporter senza Frontiere ha retrocesso di quattro posizioni il Paese nella graduatoria delle libertà di stampa.
Due piccoli partiti di opposizione, nati sulla scia delle proteste contro l’enorme corruzione, hanno anche denunciato gli attacchi e i boicottaggi del Partito Democratico contro amministratori locali e sindaci che, pressati per farlo, hanno comunque rifiutato di aderire al quel Partito. Non è successo soltanto nei confronti di piccoli comuni ma anche verso i sindaci delle due città più grandi, Chişinău e Balti.
Potremmo proseguire all’infinito citando le colpe di Plahotniuc e del Governo in carica ma quello che ci amareggia è costatare che a Bruxelles, pur essendo perfettamente al corrente della reale situazione, non si fa nulla. Al contrario, anche nell’incontro del 25 gennaio tra Mogherini i Commissari dell’Agricoltura e del Commercio e il Ministro moldavo per l’Integrazione Europea Iurie Leanca, di là da platonici inviti ad adeguarsi appena possibile agli standard del diritto e della democrazia europea, sono stati confermati tutti gli aiuti economici e il sostegno politico al governo attuale.
Forse, l’assodato comportamento del Governo polacco contro i cosiddetti “valori” europei non ci basta come lezione e qualcuno pensa che purché’ si sia anti-russi ognuno possa fare ciò che vuole, in barba a democrazia e rispetto dello stato di diritto. E io pagooo! (citazione da Totò).

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.