Nata a “In rotta per Israele”. I bambini dell’Exodus 70 anni dopo

di Vanessa Tomassini

Sono passati 70 anni dalla notte dell’11 luglio 1947, quando tra le 3.00 e le 4.00 del mattino una nave battente bandiera dell’Honduras salpò dal porto di Sète, sulle coste meridionali francesi. La nave era ufficialmente diretta in Colombia, ma la realtà era ben diversa. Non era una comune nave commerciale, non trasportava turisti, ma soprattutto non era diretta verso l’America Latina. Stiamo parlando della “Exodus 1947”, il cui nome di battesimo ricorda l’esodo degli ebrei dall’Egitto narrato nel Vecchio Testamento. L’imbarcazione contava a bordo 3415 passeggerei ebrei, scampati agli orrori dei campi di concentramento nazisti. La destinazione era Israele, uno Stato che ancora non esisteva.
Galia Ashkenazi, professoressa di Shoham, una cittadina nel cuore di Israele racconta questa storia al quotidiano israeliano “Haaretz”. Guardando il passaporto della docente, infatti, una voce balza subito agli occhi, il luogo di nascita: “in rotta per Israele”. Lo fa come ogni volta che mostra il suo documento, parlando di quella nave, ripresa da registi e scrittori, che aveva lo scopo di portare gli ebrei in Palestina, all’epoca sotto il controllo della Gran Bretagna, come stabilito dal prototipo dell’ONU, la Società delle Nazioni.
L’operazione fu organizzata in gran segreto dal gruppo paramilitare ebraico, Haganah, letteralmente “Difesa”. L’organizzazione divenne parte dell’esercito israeliano subito dopo la creazione del nuovo Stato nel 1948. Un po’ come sta accadendo i giorni nostri, quei migranti affrontarono un viaggio massacrante e furono costantemente braccati dalla marina inglese, che aveva sigillato le coste palestinesi, bloccando e rispedendo indietro chiunque provasse ad accedere.
Il nome Galia deriva dall’ebraico “gal” che significa onda. I suoi genitori si imbarcarono sulla Exodus, Galia venne alla luce il 9 agosto del 1949 a bordo della ‘Empire Royal’, una nave della flotta inglese che stavano deportando in Europa gli ebrei sopravvissuti. La famiglia dell’insegnante israeliana riuscì ad arrivare nella ‘terra promessa’ solo nel maggio del 1949, quando Israele era ormai uno Stato a tutti gli effetti. Quando Galia si recò in Comune per richiedere al Ministero degli Affari Interni la sua carta di identità, non aveva alcun atto di nascita da mostrare, così dichiarò di essere nata a bordo dell’Exodus. I funzionari scrissero così sui documenti della sedicenne, poi fu cambiato secondo la dicitura che riporta tutti i suoi documenti ancora oggi, “in rotta per Israele”.
La storia di Galia ha un lieto fine. Secondo gli storici, sull’Exodus e sulle successive navi della flotta inglese, forzate verso l’Europa, nacquero più di settanta bambini. Molti persero la vita in mare per via di quel viaggio estenuante e degli stenti. La prossima settimana quei bambini fortunati come Galia si incontreranno ad Haifa, per ricordare insieme l’esodo di 70 anni fa e chi sull’Exodus ha perso la vita.