Non solo Gay Pride: è lungo l’elenco dei paesi con leggi anti-gay (compresa la pena di morte)

di C. Alessandro Mauceri

Ogni anno in occasione del Gay Pride le strade di molte città si riempiono di eventi e manifestazioni, alcune delle quali al limite del buon gusto e della decenza.
Nessuno però affronta il problema in modo concreto: oggi in molti paesi essere omosessuali è considerato tutt’altro che “normale”. Anzi in molti paesi non è neanche legittimo: è un reato punibile con pene anche molto severe.
In un mondo sempre più “uguale” e standardizzato, su questo tema sono ancora molte, troppe le differenze. Mentre in alcuni paesi occidentali, come in Inghilterra e in Spagna è possibile denunciare qualcuno per aver affermato in pubblico che l’omosessualità è una “condizione difettosa” e in Europa un po’ ovunque sono state introdotte le Unioni civili o i matrimoni per persone dello stesso sesso, come pure si discute se sia giusto legittimare le adozioni ottenute in altri paesi dell’Unione da coppie gay (uno dei primi casi in Italia si è verificato nei giorni scorsi), in circa un terzo dei paesi del mondo l’omosessualità è ancora un reato. Avolte punibile anche con la morte. In Nigeria, ad esempio, dove anche solo essere sostenitori di un’organizzazione gay può far finire in prigione per 10 anni. In Uganda si rischia addirittura l’ergastolo.
Anche in India, dove è in vigore la “Section 377” di una legge che risale al 1861, cioè quando il paese era sotto il dominio britannico, qualsiasi “connubio carnale contro natura con uomini, donne o animali” viene punito con una pena fino a dieci anni di prigione. O in Africa dove “la condotta omosessuale è considerata reato in 38 Stati africani”, come ha detto Dittrich, “e molti di essi stanno approvando leggi sempre più restrittive. Le persone lgbt vengono arrestate e condannate al carcere solo perché sono gay”.
A volte le pene previste sono leggere: il “reato” viene punito semplicemente con un’ammenda in Liberia (lo prevede la sezione 14.74 del Codice Penale) o a in Malesia (Art. 377 del codice penale: la condanna prevede fino a 20 anni di carcere spesso commutata in una multa in denaro). In alcuni paesi queste leggi risalgono a vecchie norme non più applicate: in Giamaica ad esempio, le buggery laws non sono mai state formalmente abolite, ma non sono state applicate quasi mai.
In altri casi alle pene pecuniarie si aggiungono anche la detenzione o altro: in Marocco alla sanzione pecuniaria si aggiunge la reclusione da 6 mesi a tre anni (Art. 489 del Codice Penale), in Camerun questo “reato” è punibile con una multa o con una condanna a un massimo di cinque anni di prigione e alle Maldive dove, secondo il Codice Penale (che risale al 1960) gli atti sessuali tra uomini e tra donne sono punibili severamente. In Burundi la legge punisce qualsiasi attività omosessuale con una pena tra i due mesi e i tre anni di detenzione.
In altri paesi invece le pene sono pesantissime: in Uganda le pene vanno dai 14 anni di prigione all’ergastolo.
In molti paesi islamici l’omosessualità è punibile anche con la morte. In Iran ad esempio, dove il segretario generale del Consiglio iraniano per i diritti umani ha definito l’omosessualità “una piaga e una malattia”. E dove un giornalista di Teheran è stato condannato a 60 frustate e quattro anni di prigione per aver osato contraddire, intervistando diversi omosessuali, le dichiarazioni dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad che sosteneva che fosse “una cosa che nel nostro paese non esiste”.
In Qatar gli atti omosessuali sono puniti con sette anni di prigione, con l’ergastolo se una delle parti ha meno di 16 anni di età. Ma in questo paese vige la Sharia (la legge islamica), che prevede che una persona sposata che si rende “colpevole” di omosessualità venga punita anche con la morte. In Bangladesh, l’art. 377 del codice penale prevede la prigione a vita e nel sultanato del Brunei è stata recentemente istituita la lapidazione per i gay.
In Africa sono molti i paesi in cui vigono leggi che colpiscono l’“omofilia” anche sotto forma di reato di opinione, norme che puniscono semplici comportamenti e punti di vista. Il motivo è semplice: spesso le culture tradizionali delle popolazioni di questo continente sono incentrate sulla “propagazione della vita”. Quindi l’omosessualità, come tutte le azioni che ostacolano la procreazione (aborto, malefici per causare la sterilità, eccetera), sono considerate un peccato e un reato. È per questo che il 98 per cento dei nigeriani, il 96 per cento di chi vive in Senegal, Ghana e Uganda, e il 90 per cento dei keniani è convinto che la società non debba accettare l’omosessualità (dati sondaggio Pew Research Center di Washington).
La lista è interminabile. Anche paesi considerati ormai evoluti è ancora considerato un reato gravissimo, come negli Emirati Arabi Uniti dove l’art. 354 del codice penale federale prevede la pena di morte. E in Afghanistan è prevista la morte per lapidazione. In Arabia Saudita essere omosessuali significa rischiare il carcere, multe, frustate, l’internamento in cliniche psichiatriche, amputazioni e anche la morte. Sono molti i paesi dove per i gay è prevista la pena di morte: dalla Mauritania al Pakistan fino allo Yemen.
A giugno 2016, secondo un rapporto, erano oltre settanta gli Stati che considerano reato i rapporti consensuali tra persone dello stesso sesso. E in molti di questi paesi le pene sono state recentemente inasprite. Dall’Algeria all’Angola, dove la legge prevede i lavori forzati.
Sanzioni penali sono previste in Russia, Senegal, a Singapore, in Somalia, in Sri Lanka, Sudan, Swaziland, Tunisia (qui l’omosessualità è illegale, ma “tollerata”), Turkmenistan, Uzbekistan, Zambia e Zimbabwe.
In molti paesi di quello che è ancora considerato un serio problema sociale del mondo civilizzato si parla solo quando il personaggio pubblico o il politico di turno dichiara di essere gay o, avendolo già dichiarato, comunica di voler adottare un figlio, magari forzando le norme vigenti o adottandolo all’estero per poi farlo riconoscere nel proprio paese o ricorrendo all’utero in affitto.
Eppure a giugno quando si celebra il Gay Pride, un evento che è più un momento di spettacolo di dubbio gusto che altro. Poi, a riflettori spenti, non pare importi a nessuno che nel mondo ogni anno, nel terzo millennio, c’è chi ancora viene giustiziato o lapidato non per aver commesso un reato, ma solo perchè è gay.

Fonte: World Economic Forum.