Incontro a Vancouver sul nucleare nordcoreano. Xi chiama Trump, ‘serve un accordo appropriato’

di C. Alessandro Mauceri –

A Vancouver, in Canada, è appena iniziato il meeting tra i rappresentanti dei ministeri degli Esteri di 20 Paesi riuniti per discutere della corsa al nucleare della Corea del Nord.
Dopo mesi e mesi di minacce reciproche e insulti più o meno diplomatici tra i leader di Stati Uniti d’America e Corea del Nord, pare che entrambi abbiano deciso di sedere allo stesso tavolo e condurre serie trattative.
Numerose (e infruttuose) le polemiche di alcuni dei presenti. A cominciare proprio dal regime di Pyongyang, per il quale eventuali processi di disgelo non avrebbero rilevanza sulla questione del nucleare, cosa d’altro canto dimostrata anche dai rapporti con la Corea del Sud in vista delle prossime Olimpiadi invernali.
Non sono mancate anche gelosie e critiche poco costruttive, come quelle di un funzionario del ministero degli Esteri giapponese che si è lamentato con un giornale internazionale del fatto che nelle trattative sono stati coinvolti Paesi “periferici” come la Colombia e la Grecia. L’Italia, rappresentata da Gian Lorenzo Cornado, già ambasciatore in Canada e oggi capo di Gabinetto del ministro degli Esteri Angelino Alfano, non è andata oltre un giudizio poco più che formale affermando in un comunicato che “occorre continuare a esercitare un’efficace pressione sul regime nordcoreano”. Anche il Canada ha voluto dire la sua (per una volta diversa da quella degli Usa): Chrystia Freeland, ministro degli Esteri canadese, ha dichiarato che “una soluzione diplomatica è essenziale e possibile”.
Grandi assenti agli incontri di Vancouver Russia e Cina. Senza di loro sarà difficile trovare una soluzione a lungo termine al problema, come ha fatto notare il portavoce del ministro degli Esteri cinese Lu Kang che ha parlato di “divisioni nella comunità internazionale” e di indebolimento “degli sforzi congiunti per risolvere la questione del nucleare coreano in maniera appropriata”. Dal canto suo il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha definito “distruttiva” la politica adottata finora e ha invitato tutti ad abbassare i toni: “Come primo passo, proponiamo a tutti di calmarsi e di congelare ogni attività ostile, prima fra tutte le esercitazioni militari, siano esse lanci di missili, test nucleari o grandi manovre”.
Ormai è ben chiaro a tutti che le conseguenze di una guerra con la Corea del Nord sarebbero insostenibili anche per gli Usa. Una ricerca del Congresso, i cui risultati sono stati resi noti lo scorso novembre, parla di un numero di perdite tra le 30 e le 300 mila unità, solo nei primi minuti di un eventuale conflitto. Diversi analisti, tra i quali l’ex agente Cia, Bruce Klinger, già capo delle operazioni nella penisola coreana tra il 1993 e il 2001 e oggi consulente per la Heritage Foundation, molto ascoltata dall’amministrazione Trump, ha detto che se è pur vero che non ci si può fidare di Kim Jong-Un, d’altro canto, un intervento militare avrebbe “effetti catastrofici”. Prima di tutto sulla Corea del Nord e sugli Usa, ma anche su molti altri paesi. Milioni i profughi nordcoreani che si riverserebbero nella confinante Cina e di certo ci sarebbero conseguenze e costi insostenibili per la Corea del Sud.
Una guerra tra Usa e Corea del Nord non servirebbe a nessuno. Sebbene assente, ad esercitare il peso maggiore sulle decisioni che verranno prese a Vancouver è probabilmente è proprio la Cina, il paese che più di tutti avrebbe da perdere nel caso di un conflitto tra i due contendenti.
Il presidente Xi Jinping in una telefonata a Donald Trump, ha ribadito che la Cina è pronta a lavorare con gli Usa per un “accordo appropriato” sulla questione nucleare della penisola nordcoreana. Non per motivi ideologici o politici o religiosi. Ma solo perché “creare le condizioni per una ripresa dei colloqui” è un primo passo per cercare di risolvere i contenziosi economici (dazi, commercio e scambi con la Cina) fra i due paesi.
Un paio di giorni fa Trump ha detto ai giornalisti che “Vedremo cosa accadrà con la Corea del Nord. Ci sono discussioni importanti in corso, come sapete in particolare sulle Olimpiadi. Molte cose possono succedere”.
Intanto, secondo quanto anticipato da The Guardian e in barba non solo alla prossima Convenzione per la messa al bando delle armi atomiche, ma anche del Trattato di non proliferazione sottoscritto e ratificato ma mai rispettato, gli Stati Uniti starebbero completando lo studio di una nuova testata nucleare da lanciare anche da sottomarini. Un nuovo tipo di arma nucleare teoricamente meno potente e quindi più selettivo e strategico. Ordigni “solo” 40 volte più potenti della testata fatta esplodere su Nagasaki nel 1945. Quella che causò conseguenze come quelle mostrate sulla foto distribuita da Papa Francesco in partenza per l’America Latina. Armi abbastanza potenti per essere strategicamente funzionali, ma sicuramente troppo devastanti per qualsiasi attacco politicamente e umanamente giustificabile.