Obiettivi e contrasti del Kurdistan in Medio Oriente.

di Daniele Garofalo – 

I movimenti di protesta, la crisi delle istituzioni statali e la lotta contro lo Stato Islamico (Is), hanno concesso ai curdi una enorme opportunità per la realizzazione di un governo autonomo. Esso, però, per essere realizzato deve scontrarsi con numerosi ostacoli, in quanto gli obiettivi curdi contrastano con gli interessi di attori regionali ed internazionali terzi.

I contrasti che separano i movimenti politici curdi hanno a lungo impedito lo sviluppo di un progetto nazionale, in quanto le varie fazioni non agiscono come un blocco unitario. Ciò tende a rallentare il percorso che dovrebbe portare all’estensione dell’area controllata dal Krg (Kurdistan Regional Government) in Iraq, alla stabilizzazione e riconoscimento della federazione del Rojava in Siria, alla continuazione della lotta autonomista del Pkk (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) in Turchia e del Pjak (Kurdistan Free Life Party) in Iran.

L’autonomia legata al sottosuolo

La possibile autonomia della regione è legata alla presenza nel sottosuolo di risorse energetiche consistenti. Nel Kurdistan turco vi è l’estrazione di fosfati, lignite, ferro, cromo, rame e petrolio nelle province di Elázig, Siirt, Raman, Garzan, Maden ed Ergani. Il Kurdistan iracheno detiene il 20% delle risorse petrolifere stimate dell’Iraq e ad oggi produce il 75% del greggio nazionale. Nei giacimenti del Krg, le riserve petrolifere stimate sono di 53Gbbl e quelle di gas naturale circa 5.6 trilioni di metri cubi. Nel Kurdistan siriano è cospicua la presenza di acqua, oltre che d’importanti giacimenti petroliferi, tra i più rilevanti: Al Omar, Kerashuk, Ramelan e Zarbe. Nel Kurdistan iraniano vi è una grandissima presenza di acqua e una considerevole presenza di petrolio nel centro industriale di Kermanshah. Nonostante la ricchezza del sottosuolo, le risorse non sono sfruttate in loco, per cui la popolazione curda rimane ai margini della ricchezza prodotta in tutte le sue aree a causa della politica economica sviluppata dai vari governi centrali. Una futura indipendenza del Kurdistan, vista la ricchezza del sottosuolo, può passare solo attraverso lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e gas naturale, che farebbero assumere al futuro stato i lineamenti di un rentier state, ovvero uno stato che fonda la propria economia sulla rendita dei proventi della vendita degli idrocarburi.

La difficile situazione politica

Dopo le numerose vittorie contro lo Stato Islamico, il Pdk (Kurdistan Democratic Party) di Barzani ha indetto a settembre 2017, un referendum non vincolante per l’indipendenza del Krg. Il governo iracheno in risposta ha prontamente avviato un’operazione militare in tutti i territori contesi, tornati sotto il controllo iracheno. Ad esso è seguita la sospensione del vittorioso risultato del referendum, il quale a novembre 2017 è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte suprema irachena. La possibilità di una secessione del Kurdistan iracheno ha preoccupato gli attori regionali e internazionali interessati nell’area, Iran e Turchia in primis, angosciati che l’esito del voto potesse riaccendere l’irredentismo delle loro minoranze. Ciò ha prodotto un ricongiungimento fra i governi di Ankara, Teheran e Baghdad, tutti contrari all’indipendenza. Negli ultimi mesi il governo turco si è sensibilmente riavvicinato alla Russia e all’Iran per scongiurare la possibilità che i curdi siriani formassero un’asse con quelli turchi. Ciò è stato evidente negli accordi di Astana e in quelli successivi di Sochi da cui sono stati estromessi i referenti di partiti e milizie curdi. A novembre 2017 il presidente Trump aveva annunciato che gli Usa non avrebbero più sostenuto militarmente le milizie curde, ma il Pentagono successivamente ha comunicato i piani per creare una forza di confine di 30.000 uomini gestita dalle forze democratiche siriane (Sdf) ad Afrin, nel nord della Siria. La decisione è stata contestata dalla Turchia e definita: “creazione di un esercito terrorista”. A fine gennaio 2018, ha quindi iniziato l’operazione militare “Ramo d’ulivo” con l’obiettivo di “ripulire” il cantone di Afrin dagli “elementi terroristi”, ma diretta in realtà contro le forze curde del Ypg (Unità di Protezione Popolare).

La situazione politica intra-curda

In ambito politico intra-curdo, difatti, solo il Kurdistan iracheno ha un’autonomia politica riconosciuta, come regione federale dell’Iraq. Il Kurdistan siriano ha una propria autonomia politica de facto, da quando è in corso la guerra in Siria, nei cantoni di Kobanê, Jazira, Şehba e Afrîn, riuniti dal 2016 nella federazione autonoma Rojava. La condizione dei curdi in Iran è invece quella di una minoranza che negli anni ha subito numerose ondate repressive. Il Pjak continua a confrontarsi con uno stato forte e ostile a compromessi che potrebbero minarne l’integrità etnica e religiosa, e che potrebbe mettere in pericolo la sicurezza dei propri confini. I curdi turchi, legati alle idee del leader Öcalan, non rinunciano alla lotta armata del Pkk per ottenere una forte autonomia e la libertà di movimento tra i paesi dove vivono le principali minoranze curde. I crescenti scontri intra-curdi sono, inoltre, legati alla possibilità che i diversi partiti delle aree curde possano divenire in futuro, come già accaduto, oggetto di guerre per procura convenienti agli interessi di attori regionali e internazionali terzi.

Una (im)possibile soluzione?

Il processo di costituzione di uno stato curdo condurrebbe alla divisione territoriale di paesi che ne sarebbero danneggiati economicamente e politicamente, possibilità a oggi non percorribile. L’autonomia in stati federali è quindi l’unica scelta possibile. Essa richiederebbe il coinvolgimento delle organizzazioni internazionali (Onu in primis), per raggiungere accordi costituzionali per la creazione di regioni federali e per la loro futura stabilizzazione e decentralizzazione amministrativa che garantisca notevole riconoscimento politico, giuridico, culturale ed economico.

Foto: Arabpress