Palestina. Re Abdullah di Giordania incontra il leader dell’Anp

di Vanessa Tomassini –

Dopo la recente crisi che ha visto protagonista Monte del Tempio a Gerusalemme est, ennesimo episodio dell’eterno conflitto israeliano-palestinese, re Abdullah II di Giordania è giunto ieri a Ramallah per un incontro altamente simbolico con Mahmoud Abbas (Abu Mazen), rappresentante dell’autorità palestinese. Il re, dopo un breve viaggio in elicottero, è stato accolto da una guardia d’onore palestinese di fronte a due gigantografie, una sua e una del leader Abbas. Ad attendere sua maestà anche una folla di fedeli musulmani proprio all’interno del complesso di al-Aqsa, al grido di “Gerusalemme trionferà”.
La visita a Ramallah, la prima degli ultimi cinque anni, è da intendersi come manifestazione di solidarietà, ma rivela anche la cooperazione tra Giordania e palestinesi. Essa giunge in risposta a quanto accaduto nelle scorse settimane in Giordania ad Amman, dove in circostanze ancora da chiarire, in un appartamento situato nei pressi dell’ambasciata israeliana una guardia è stata ferita con un cacciavite, ed in una reazione di autodifesa avrebbe ucciso due giordani. La presa di posizione manifestata dal sovrano dipenderebbe soprattutto da come il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha accolto la guardia al suo ritorno in Israele.
L’ufficio del primo ministro ha rilasciato un video che lo mostrava abbracciare la guardia, quasi come un eroe. Il gesto è stato definito oltraggioso dalla Giordania, vivendo quell’abbraccio come un insulto. Re Abdullah ha anche accusato Netanyahu di aver sfruttato l’episodio per “guadagni politici personali”. I due Paesi sono stati nemici fino al 1994, anno in cui è stato firmato un trattato di pace. Pace sempre molto instabile, anche perché i palestinesi rappresentano una buona parte del popolo giordano. La Giordania ha anche vietato all’ambasciatore israeliano e al resto del personale dell’ambasciata, tutti immediatamente rientrati in Israele, il ritorno ad Amman fino a quando l’episodio non sarà stato studiato e chiarito correttamente. Venerdì scorso Israele ha dichiarato che le indagini sono in corso da parte degli inquirenti israeliani, sotto la supervisione del procuratore di stato.
La Giordania è custode del santuario di al-Aqsa a Gerusalemme, che è venerato dagli ebrei come il Monte del Tempio e dai musulmani come il Santuario Nobile. Il re ha avuto un ruolo centrale nel riportare la normalità, dopo che Israele aveva posto rilevatori di metallo e intensificato le misure di sicurezza all’ingresso della struttura, dopo l’attentato sanguinario del 14 luglio. Quel giorno, durante le preghiere del venerdì musulmano, due guardie israeliane sono state aggredite alle spalle e brutalmente uccise da tre cittadini arabi armati.
Dopo l’attacco Netanyahu, tra le critiche, aveva vietato l’accesso al sito innescando scontri per le due successive settimane, che hanno dato un bel da fare alla polizia israeliana, costretta a sparpagliare folle di musulmani che pretendevano di poter accedere alla moschea in modo tutt’altro che pacifico.
Secondo una nota dell’agenzia di stampa giordana Petra, re Abdullah avrebbe dichiarato sostegno alla Palestina affinché si giunga ad un suo riconoscimento statale che abbia come capitale Gerusalemme Est, sottolineando l’importanza di lavorare con l’amministrazione americana di Donald Trump per rilanciare il processo di pace che ha subito, con questi avvenimenti, una brusca battuta di arresto. Alla pace non hanno sicuramente contribuito i commenti di alcuni leader religiosi e politici palestinesi, come quello del Gran Mufti di Gerusalemme, che tra i primi ad accogliere il sovrano giordano ha dichiarato “Il re è venuto a Ramallah perché Gerusalemme è occupata”.
Re Abdullah sarà proprio sicuro di essere dalla parte giusta per parlare di pace? Per ora ancora nessuna risposta da Washington, alle prese con scenari ben più impegnativi, come Siria e Corea del Nord.