Parità di genere: il Wef vede malissimo la situazione dell’Italia

di C. Alessandro Mauceri

Che molte delle misure adottate da vari governi per colmare il gap tra uomini e donne non servissero a nulla non è una novità. A confermarlo ora è il World Economic Forum (Wef) nel suo rapporto sul Global Gender Gap Index. Il rapporto stilato ogni anno dalla fondazione istituita da Klaus Schwab nel 1971 e che monitora le disuguaglianze di genere tenendo conto di opportunità economiche, traguardi educativi, salute e partecipazione politica. Un’analisi non molto diversa da quelle basate sui criteri dell’EIGE, ma applicati su scala quasi mondiale.
La prima cosa che emerge dal quadro generale è che, rispetto al trend positivo dell’ultima decade, la tendenza si è invertita mostrando un netto peggioramento generale. In base all’indice 2017, il divario di opportunità tra i sessi a livello globale è del 68% (era il 68,3% del 2016). Colmare il residuo 32% secondo i ricercatori richiederà almeno due secoli. Per essere esatti 217 anni per la disparità di retribuzione e le opportunità di occupazione delle donne e degli uomini alla fine. La situazione sta peggiorando e non poco: un anno fa si pensava che per colmare il gap che separa uomini e donne al lavoro sarebbero bastati 170 anni.
“Nonostante il lento ma costante miglioramento dei programmi verso la parità tra i sessi negli ultimi dieci anni, il 2017 non è stato un successo. Infatti il divario tra uomini e donne attraverso la salute, educazione, economia politica, per la prima volta dal 2006 è aumentato”, ha detto Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del Forum Economico Mondiale, in occasione della presentazione del rapporto Global Gender Gap report 2017.
“Nel 2017 non dovremmo vedere i progressi verso la parità tra i generi innestare la retromarcia. La parità tra i sessi è sia una questione morale che un imperativo economico. Alcuni paesi lo hanno capito e ora stanno vedendo i risultati delle misure adottate per far fronte alle differenze di genere”, ha detto Saadia Zahidi, capo del settore istruzione, sesso e lavoro del Wef.
Al primo posto della classifica i paesi scandinavi con Islanda, Norvegia e Finlandia ai primi tre posti e la Svezia al quinto posto. Grande sorpresa invece per il quarto posto assegnato al Ruanda e il sesto al Nicaragua. Anche il settimo posto della Slovenia e il decimo delle Filippine appaiono inaspettati. La Francia è 11ma, la Germania 12ma, il Regno Unito 15mo e il Canada 16esimo. A sorpresa gli Usa perdono quattro posizioni e scendono alla 49esima. Molto più in basso nella graduatoria la Cina, al 100esimo posto, l’India (posizione 108) e il Giappone 114mo. Non sorprendono invece i pessimi risultati di paesi come Pakistan, Iran, Arabia Saudita, Siria e lo Yemen, in coda alla lista dei paesi esaminati.
Mancano tra i posti più elevati molti dei paesi del G20, cosa che, secondo i tecnici del Wef, dimostrerebbe che il potere economico di un paese non è necessariamente la ricetta per una migliore uguaglianza tra i sessi.
Ma la cosa che sorprende di più è il crollo dell’Italia: 41ma nel 2015 e 50ma nel 2016, nel 2017, è precipitata di ben 32 posizioni fino all’82mo posto (su un totale di 144 paesi).
In Italia il gap di genere quest’anno è calato al 69% (era il 72% nel 2016). Molti i motivi di tale deludente performance: a cominciare dal divario nella rappresentanza politica (dal 25mo posto del 2016 è passata al 46mo di quest’anno). E poi nella salute, dove il divario, pur minimo, si è allargato rispetto al 2016 facendo calare l’Italia dalla 77ma alla 123ma posizione. L’aspettativa di vita in salute, che per le donne è calata a 73,7 anni dai 74 anni del 2016 mentre per gli uomini è salita a 71,8 anni da 71. I numeri riportano in primo piano anche il problema delle retribuzioni: “C’è una percezione molto bassa della parità salariale per un lavoro simile tra i sessi”, ed in questo settore l’Italia si è piazzata al 126mo posto. Anche il lavoro non pagato ha avuto un effetto devastante sulla debacle dell’Italia: per le donne italiane la quota di lavoro quotidiano non pagato è il 61,5% contro il 22,9% degli uomini. Per il Wef le cause di questo sonoro tonfo sono “una notevole dilatazione del divario politico in termini di empowerment, che passa da un ridimensionamento del gap nell’ordine del 45% del 2016, al 33% del 2017” e un “preoccupante” peggioramento del divario di genere dal punto di vista “salute e sopravvivenza”; ed anche qui l’Italia è finita in coda alla classifica mondiale passando dal 77mo posto del 2016 a 123mo del 2017.
Per strano che possa sembrare, è più facile trovare alti salari per le donne (pari a quelli degli uomini) in Ruanda, dove sono molto vicini dall’eliminare il proprio tasso di disparità, piuttosto che in Italia.
“Ci stiamo spostando dall’era del capitalismo a quella del ‘talentismo’. La competitività su scale nazionale e di business si baserà come mai prima d’ora sulla capacità di innovazione che si saprà dimostrare. Avrà maggior successo chi capirà che integrare le donne è la base per avere una forza competitiva al proprio interno”, ha sottolineato Klaus Schwab.
Concetti che, nel Bel Paese, sembrano essere ancora poco chiari.