Politica energetica: cosa cambierà con l’elezione di Trump?

Orizzontenergia * – 

Il professor Giovan Battista Zorzoli (Presidente onorario del Coordinamento FREE, Docente Master Energia ed Ambiente – Università di Roma Tre) ha analizzato le ultime vicende che hanno contraddistinto le politiche energetico-ambientali del pianeta. L’elezione di Donald Trump come nuovo presidente USA rischia davvero di compromettere la svolta green che ha dato il suo predecessore Obama? Oppure la sua libertà d’azione sarà più ristretta rispetto ai tonanti slogan elettorali?
La COP22, tenutasi a Marrakech, è stata inevitabilmente dominata dall’ombra dell’elezione di Trump a presidente degli Stati Uniti, che ha influito sull’andamento dei lavori e sulle conclusioni raggiunte.
Su uno dei punti più importanti – la definizione di un insieme condiviso di regole per valutare l’efficacia delle politiche nazionali sul clima e misurare i tagli alle emissioni – è stata messa a punto una prima bozza, con l’obiettivo di approvare la versione definitiva alla COP23 del prossimo anno, in modo da farla entrare in vigore nel 2018, quando è prevista la revisione degli impegni per tutti gli Stati. Per un piano comune per l’implementazione di questo punto dell’Accordo di Parigi, bisognerà quindi attendere fino alla COP24.
Nessun paese ha comunicato aggiornamenti dei piani nazionali di taglio alle emissioni (NDC), malgrado gli impegni attuali non siano sufficienti per realizzare gli obiettivi concordati a Parigi. Di positivo c’è l’impegno di Usa, Gran Bretagna e Germania per la creazione di un fondo di 50 milioni di dollari destinato ad aiutare i paesi in via di sviluppo a monitorare le proprie emissioni.
Sono rimasti praticamente al palo decisioni operative per il fondo di 100 miliardi di dollari, con cui i paesi Ocse dovranno finanziare le nazioni meno sviluppate, e, conseguentemente, anche quelle concernenti il fondo per l’adattamento. In alto mare anche il meccanismo di risarcimento per le perdite e i danni irreparabili provocati nei paesi più vulnerabili dai gas climalteranti emessi dalle economie avanzate.
Positive sono state invece la presenza a Marrakech, oltre che dei governi, anche di centinaia di imprese e di Ong, nonché il richiamo a Trump – per ricordargli che gli USA hanno sottoscritto l’Accordo di Parigi, quindi per i prossimi quattro anni devono rispettarlo – e l’impegno, ribadito nella dichiarazione finale, di procedere comunque sulla strada tracciata a Parigi.
Non meno importante è stato l’appello a Trump, perché non abbandoni la politica di Obama sul clima, rivoltogli pubblicamente da più di trecento top manager di grandi industrie americane, come Du Pont, Hewlett Packard, Hilton, Kellogg, Levis, Nike, Mars, Schneider, Starbucks, Unilever; appello che potrebbe avere influito sul parziale cambiamento di rotta del presidente eletto.
Malgrado alcuni parziali cambiamenti di rotta in dichiarazioni successive alla sua elezione, Trump continua imperterrito sulla sua strada, come conferma la nomina di Scott Pruitt a capo dell’EPA. Come ha scritto “Il Sole 24 Ore,” Pruitt, procuratore generale dell’Oklahoma, “ha orchestrato un’offensiva legale di 28 Stati negli anni scorsi per legare le mani alle autorità e all’amministrazione Obama”. Poiché il principale obiettivo dell’offensiva era bloccare il Clean Power Plan, che consente all’EPA di porre vincoli alle emissioni delle centrali a carbone, non stupisce che ne sia stato promotore Pruitt “più che idealmente vicino ai re dell’energia fossile, eletto in uno Stato che è tra i principali produttori”.
Quasi non bastasse, il ministero dell’interno è stato affidato a Cathy McMorris Rodgers che, secondo il “Wall Street Journal”, “se il Senato ne confermerà la nomina, è intenzionata a realizzare l’apertura delle aree e delle acque federali alla ricerca e produzione di combustibili fossili e a capovolgere la politica ambientale perseguita da Obama negli ultimi otto anni”. E, per non farsi mancare nulla, alla testa del Dipartimento di Stato mette Rex Tillerson, attuale numero uno di Exxon (la più grande compagnia petrolifera mondiale), in ottimi rapporti con Putin.
È infine possibile avanzare previsioni sulle scelte energetico-ambientali di Trump all’interno degli Usa. Non sarà ad esempio facile abolire le agevolazioni fiscali alle rinnovabili, sistematicamente confermate anche da Congressi a maggioranza repubblicana. Questo perché in diversi stati il loro sviluppo è diventato un business con rilievo sufficiente a garantire un appoggio bipartisan.
Non sarà invece coronato da successo l’obiettivo primario (l’indipendenza energetica) dell’ “America-First Energy Plan” di Trump, da realizzare grazie all’aumento della produzione di carbone, petrolio e gas, reso possibile dalla cancellazione immediata di tutte le restrizioni all’uso del fracking nell’estrazione di shale gas, alle perforazioni off-shore, alla produzione di idrocarburi nelle aree di proprietà federale. È fin troppo facile mettere in evidenza la contraddizione tra gli obiettivi di aumentare la produzione di shale gas e di restituire nel contempo all’industria del carbone il suo “ruolo glorioso”, in quanto è stata proprio la caduta del prezzo del gas, dovuta al boom dello shale, a mettere in crisi il settore carbonifero, e non una presunta “job-destroying” politica di Obama.

G.B. Zorzoli per Orizzontenergia

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