Polonia europea, ma non troppo

di Dario Rivolta * –

Quando si discusse in Parlamento dell’allargamento dell’Unione Europea ai Paesi dell’Europa centrale e orientale ero deputato e insistetti nel sostenere che prima di qualunque nuovo ingresso fosse necessario provvedere all’“approfondimento” delle Istituzioni comunitarie. Ottenni soltanto che la Commissione Esteri della Camera incontrasse i corrispettivi cechi, ungheresi, polacchi e tedeschi per valutare insieme il possibile posticipo della loro adesione. Mi rendevo conto che si trattava di una impresa improba, perché Stati Uniti e Gran Bretagna in primis spingevano sul fatto che tutto avvenisse immediatamente, i Paesi interessati paventavano un cambiamento nelle loro opinioni pubbliche in caso di ritardi e i tedeschi già pensavano alla loro egemonia economica su queste nuove aree. In realtà mi era chiaro che gli anglosassoni non volevano alcun “approfondimento” e i nuovi ingressi lo avrebbero reso ancora più difficile. Polacchi e compagnia, inoltre, già pregustavano i milioni di euro che loro sarebbero arrivati da Bruxelles grazie ai vari Fondi che sarebbero stati loro destinati. In Europa occidentale si credeva (o si faceva finta di credere) che i nuovi arrivati avrebbero subito assorbito tutte le nostre normative e sarebbero stati felici di sposare i valori della nostra democrazia liberale. Contrariamente alle aspettative ingenue (o in malafede) di chi insistette per il loro veloce ingresso nell’Unione, è oggi chiaro che le cose che più interessavano loro erano la conseguente “protezione” americana e i nostri soldi. Per chi ancora ne dubita è sufficiente ricordare la posizione di tutti questi Paesi in merito alla redistribuzione dei migranti. Nonostante la decisione del Consiglio Europeo e i vari solleciti della Commissione, i vari governi polacchi, ungheresi, cechi etc. continuano ad infischiarsene della solidarietà loro richiesta e nemmeno uno delle centinaia di migliaia di clandestini sbarcati sulle nostre coste è stato accolto o “esaminato” nei loro Stati. Se anche possiamo arrivare a capire questo loro atteggiamento verso gli “estranei”, è certo meno corrispondente ai “valori europei” l’atteggiamento dei Paesi baltici nei confronti delle minoranze di cittadini russi (in Lettonia sono attorno al trenta per cento dell’intera popolazione) che da generazioni vivono su quelle terre. Anche se non se ne vuole parlare, a molti di loro non è riconosciuta la cittadinanza e restano, di fatto, apolidi senza alcun diritto.
Se quanto sopra ancora non basta a dimostrare quanto poco loro importi della solidarietà europea, si pensi al loro atteggiamento in politica estera. Ho già sottolineato in un precedente articolo come l’accordo voluto dai polacchi, il Trimarium, sia nei fatti una operazione antieuropea finanziata con i nostri soldi. A Roma, Parigi, Berlino e soprattutto Bruxelles la questione è totalmente sottovalutata e lontana perfino dal dibattito tra gli specialisti di politica internazionale (fa eccezione – da poco tempo – Limes che vi ha dedicato ultimamente un numero monografico). Anche quanto sta succedendo in Ucraina è imputabile nella massima parte a baltici, polacchi e svedesi (con la complicità americana e della Cdu tedesca). Infatti tutto nacque dall’iniziativa voluta proprio da loro in funzione anti-russa e che fu chiamata Eastern Partnership. Con quell’operazione si cercava di obbligare Kiev a scegliere tra l’apertura delle proprie dogane al mercato europeo o la continuazione del più che decennale legame economico con la Russia. Era evidente che le due cose fossero incompatibili e, dopo il rifiuto del legittimo Governo ucraino di Yanukovich, si fece in modo di ottenere comunque lo scopo organizzando il vero e proprio colpo di Stato di cui sappiamo.
Solo recentemente sembra che a Bruxelles e a Strasburgo ci si sia accorti che la Polonia non voglia avere nulla da spartire con i valori europei di democrazia liberale. Alla fine del 2015 le autorità polacche adottarono le prime misure per mettere la magistratura sotto il controllo del governo, violando così in maniera plateale il principio liberale della divisione dei poteri. Nonostante si trattasse di un atto fortemente lesivo di ciò che l’Europa ha sempre considerato un principio basilare dello “stato di diritto”, la Commissione ha atteso fino al luglio del 2016 per inviare a Varsavia una “raccomandazione” in cui si chiedeva al governo di agire urgentemente per modificare le decisioni assunte. Con evidente sprezzo, la Polonia ha fatto finta di nulla e solo cinque mesi dopo, il 21 dicembre 2016, da Bruxelles è stata inviata una seconda “raccomandazione”. In questa si intimava di agire positivamente entro due mesi, ma non è successo nulla. Allora, il 26 luglio del 2017 (quindi ben un anno e mezzo dopo il malfatto), la Commissione ha inviato a Varsavia una terza (ancora inutile) “raccomandazione” stabilendo il limite di tempo di un mese. Anche il Consiglio d’Europa, l’Osce, l’Onu e la Commissione di Venezia hanno espresso le stesse preoccupazioni e chiesto modifiche.
Ben tre sono stati, perciò, gli ultimatum inviati da Bruxelles a Varsavia e l’unica risposta polacca è stata la votazione di Camera e Senato che l’8 Dicembre scorso ha totalmente cancellato l’indipendenza della magistratura. Nel frattempo, nonostante l’evidente menefreghismo dei polacchi verso le richieste di Bruxelles e di Strasburgo, dall’Europa han continuato a inviare i soliti finanziamenti a fondo perduto per alimentare l’economia di quel Paese. Incidentalmente, va ricordato che la Polonia è uno dei pochi Paesi Nato che, assecondando le richieste americane, investe nella difesa ben il 2% del proprio bilancio e che, senza i fondi europei, sarebbe stato ben difficile dedicare così tante risorse alle proprie forze armate. Davanti all’indifferenza polacca verso i richiami della Commissione, Bruxelles aveva due possibilità: invocare l’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea o l’articolo 258 del Trattato sul funzionamento della stessa. Nel primo caso è il Consiglio europeo che deve decidere a maggioranza qualificata l’esistenza del grave rischio di violazione dei valori dell’Unione, sentire poi lo Stato in questione e ottenere l’approvazione del Parlamento Europeo (sempre a maggioranza qualificata) per poter indirizzargli una nuova “raccomandazione”. Solo dopo l’inefficacia di questo nuovo richiamo il Consiglio potrebbe decidere, ma solo a maggioranza super qualificata, di sospendere qualche diritto al Paese considerato inadempiente. A questo proposito il governo ungherese ha già annunciato il proprio veto e molto probabilmente lo faranno anche tutti gli altri 12 Paesi che aderiscono al Trimarium.
L’altra strada, quella dell’articolo 258 prevederebbe invece che la Polonia sia portata immediatamente di fronte alla Corte di Giustizia di Lussemburgo e, in caso di condanna, più che certa in questa situazione ci sarebbe l’immediata sospensione dei diritti di voto, con tutto ciò che ne consegue.
Purtroppo, e qui si dimostra l’inadeguatezza di questa Europa a 28, Bruxelles ha scelto la prima strada, la più farraginosa, e quindi nulla succederà. I polacchi continueranno a violare lo stato di diritto, a infischiarsene delle decisioni di Consiglio e di Commissione, ad assecondare più i disegni politici americani di quelli europei e, ciò nonostante, continueranno a ricevere generosamente i soldi dei nostri contribuenti.
Forse è davvero giunta l’ora che, assieme ai Paesi soci fondatori, si rilanci l’idea di un nucleo europeo più piccolo, purché’ più forte e più compatto.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.