Possibili catastrofici scenari nell’era dei missili

di Marco Corno

L’attacco ad opera degli Usa alla base militare siriana di Sharyat segna una svolta nelle relazioni diplomatiche globali. Il fatto, oltre ad essere una grave violazione dell’art.2 par.3-4 della Carta dell’Onu che impone l’obbligo di soluzione pacifica delle controversie internazionali e di conseguenza il divieto di uso della forza, costituisce una grave violazione della sovranità nazionale della Siria in quanto l’attacco è avvenuto sulla base di un presunto uso delle armi chimiche da parte del regime di Damasco senza prove concrete che lo confermino; inoltre il lancio dei missili è stato portato a termine senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu competente a disciplinare le materie più delicate come la rappresaglia armata.
Washington, consapevolmente o meno, ha dato via ad una nuova fase delle relazioni internazionali non solo in Medio Oriente ma anche in altri punti caldi del pianeta come l’Indocina, l’Europa dell’Est e il Sud-est asiatico.
Il contesto non più bipolare ma multipolare dominato dalla Real Politik, fomentata dalla logica di potenza, potrebbe dare vita ad un processo di riarmo delle potenze regionali. Un riarmo basato sullo sviluppo di missili a medio-lungo raggio in grado di colpire punti strategici del nemico, con appoggio aereo, come appunto basi militari, porti navali e vie di comunicazioni per esercitare pressione ed indurre il rivale a scendere a compromessi. Lo scenario internazionale potrebbe diventare sempre più caldo e pericoloso a partire dall’Iran i cui rapporti con la Casa Bianca si sono notevolmente deteriorati dopo l’ascesa di Donald Trump, il che fa presumere che l’accordo sul nucleare dei 5+1 (Germania, Francia, USA, Russia, Cina, Gran Bretagna) dell’era Obama possa diventare carta straccia. Teheran, nei prossimi mesi, potrebbe vendere missili terra-aria e missili di contraerea a Damasco e Beirut per difendersi da un possibile attacco da parte di Israele (alleato degli Usa), bramoso di espandersi a danno delle potenze sciite della regione. Entrerebbe in gioco anche l’Arabia Saudita che dispiegherebbe missili al confine iracheno per colpire le milizie sciite coinvolte nella guerra civile, e vicino al Golfo del Persico contro l’Iran.
La destabilizzazione statunitense incrementerebbe anche la cosiddetta minaccia su due fronti dell’Iran accerchiato a ovest dall’Isis e da al-Qaeda e a est dai Taliban. Il Pakistan infatti riporterebbe alla visibilità movimenti fondamentalisti islamici salafiti (destabilizzando la nazione afghana) in funzione anti-Iran per ottenere quella profondità strategica necessaria ad indebolire i confini iraniani, tramite ondate di profughi sciiti costretti a fuggire dalle persecuzioni salafite, e allo stesso tempo dispiegando non solo armi a lungo raggio ma anche armi atomiche sul fronte indiano. L’India in questa situazione di riarmo generale si allerebbe con l’Iran per accerchiare il Pakistan e impedirgli di strappare con la forza il Kashmir e creare una grande stato pakistano (composto, oltre che dal Kashmir, anche dall’Afghanistan) tramite l’implementazione e la distribuzione di armi nucleari al confine pakistano.
Lo scenario diventerebbe pericolosissimo perché il riarmo generale si espanderebbe anche al Sud-Est asiatico dove gli Usa perseguono da anni una politica di contenimento della Cina ostacolata dalla presenza della Corea del Nord, la fortezza cinese nel sud-est asiatico, intransigente ed estremamente protettiva sul proprio programma nucleare, considerato l’unica garanzia per la sopravvivenza del regime.
L’invio di navi da guerra americane è un chiaro segnale di provocazione da parte di Washington nei confronti di Pyongyang che potrebbe dare vita ad un’escalation atomica catastrofica e il pretesto a Tokyo per avviare un processo di riarmo basato sullo sviluppo di navi in grado di lanciare missili a lungo raggio magari con testate nucleari. La minaccia degli Usa oltre ad aver provocato la Terza crisi nucleare nordcoreana potrebbe creare una forte destabilizzazione anche dell’Indocina, al momento ancora non scatenatasi, per la sovranità sulle acque contese tra Cina, Vietnam, Filippine e Malesia .
Neanche l’Europa è al sicuro, con la crisi ucraina la Nato potrebbe decidere di armare la Polonia e i paesi Baltici per bombardare i separatisti filo-russi del Donbass. Di conseguenza la Russia dispiegherebbe navi militari in tutti il Mar Nero e in Crimea e le escalation missilistiche colpirebbero le rispettive fazioni rivali in Ucraina con il risultato che il paese verrebbe ridotto ad un cumulo di ceneri proprio come il Siraq senza contare che il rischio di un’invasione armata da ambo le parti è altissimo.
La comunità internazionale pertanto negli ultimi tempi sta cambiando drasticamente con le nuove tensioni internazionali che si svilupperanno nei paesi cuscinetto nel quale le fazioni in guerra verranno sostenute dalle rispettive potenze regionali tramite l’utilizzo di armi a lunga gittata in grado di effettuare attacchi chirurgici su obiettivi specifici ma anche attacchi sulla potenza regionale avversaria per indebolire la sua presenza nello stato conteso. Tale clima verrebbe fomentato dall’intenzione del presidente Trump di potenziare l’arsenale nucleare degli Usa compromettendo il TNP e scatenando una possibile nuclearizzazione dell’intero mondo poiché nessuno si fida più di nessuno.
In questa nuova era della società internazionale è lecito citare Churchill e affermare con certezza che dal Medio Oriente fino al Mar del Giappone una nuova cortina di ferro sta per calare sul mondo.