Qatar. Dopo l’embargo saudita arrivano i rifornimenti dall’Iran. Le contraddizioni di un Medio Oriente in fiamme

di C. Alessandro Mauceri

Le autorità del Qatar hanno reso noto che, dopo i contatti dei giorni scorsi, l’Iran ha provveduto all’invio di derrate alimentari e beni di prima necessità, dopo l’embargo imposto da Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti ed l’Egitto di interrompere le relazioni diplomatiche; anche gli ambasciatori del Qatar in questi paesi sono stati invitati a lasciare le ambasciate entro 48 ore. La decisione di chiudere i rapporti diplomatici con il Qatar era stata condivisa anche da Yemen, Maldive, Mauritania, Isole Comore e in parte dalla Giordania.
L’azione dell’Iran confermerebbe la teoria secondo la quale alla base dell’inasprirsi dei rapporti con il Qatar non sarebbero i presunti finanziamenti a gruppi terroristici, anche perché la vendita di armi e armamenti in tutto il Medio Oriente è praticamente libera e non esistono di fatto limiti ideologici o politici, ma semplicemente economici.
Come sottolineano diversi analisti, tra Qatar e Arabia Saudita c’è da anni un’asperrima competizione per il controllo del mondo sunnita mediorientale, tuttavia la recente visita a Riad del presidente Usa Donald Trump ha in qualche modo legittimato la posizione saudita con il conseguente avvicinarsi dei paesi sunniti dell’area. Al Qatar, sunnita, non è restato altro da fare che cercare alleanza nel terzo incomodo, ovvero nell’Iran sciita, nonostante l’atavico conflitto fra sciiti e sunniti.
L’inasprirsi dei rapporti tra Arabia Saudita (e alleati) e Qatar non può non avere conseguenze molto più ampie, anche perché Donald Trump, al termine dei colloqui a Riad, ha nuovamente accusato l’Iran di essere il più grande finanziatore del terrorismo che colpisce il pianeta, ricevendo in cambio aspre critiche da parte di rappresentanti del governo del Qatar.
Anche la scusa addotta dal Financial Times convince poco: secondo l’autorevole giornale inglese la causa dello scontro sarebbe il pagamento di un riscatto di un miliardo di dollari per far liberare un membro della monarchia del Qatar caduto prigioniero in Iraq; soldi finiti per il 70% nelle casse dell’Iran e di gruppi sciiti, ma per un 20-30% al gruppo Tahrir al-Sham, vicino ad al-Qaeda. Anche la volontà di Abdel Fatah al-Sisi, presidente egiziano voluto da Washington, che da sempre ha fatto della lotta all’Isis e a chi li appoggia (come il Qatar) uno dei pilastri della sua politica, pare possa avere un peso relativo.
A rendere la situazione più complessa sono alcuni aspetti geopolitici di enorme rilevanza: il primo è che proprio in Qatar ha sede un’importante base militare americana utilizzata nelle missioni contro lo Stato Islamico. Il secondo è che a fianco del Qatar oltre all’Iran è scesa anche la Turchia. L’affermazione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan di offrire il proprio sostegno al Qatar non lascia dubbi: “Non lasceremo isolato il Qatar, invieremo aiuti”. Erdogan ha annunciato che la Turchia distribuirà cibo e medicine per aiutare il Qatar a rendere meno difficile il suo isolamento.
Una decisione che potrebbe avere effetti considerevoli. E non solo perchè anche in questo paese si trovano molti degli avamposti che rendono possibili le missioni degli americani in Medio Oriente, ma soprattutto perché da sempre le enormi risorse idriche della Turchia la rendono strategicamente importante per regolare gli equilibri geopolitici dell’area. La Turchia, fa parte della coalizione anti-Stato islamico (IS) guidata dagli Stati Uniti, e dallo scorso luglio ha messo a disposizione di Washington la base militare di Incirlik per le sortite aeree contro l’Isis. Ankara è però in contrasto con gli Stati Uniti per la collaborazione di Washington con i militanti del Partito democratico curdo (PYD) nella lotta allo Stato islamico.
Ma il ruolo di primo piano della Turchia è dovuto anche ad altro fattore: “Il presidente, che è anche il presidente di turno dell’Organizzazione per la cooperazione islamica Oic, è stato attivamente coinvolto nel processo di risoluzione del problema, tenendo telefonate bilaterali con alcuni capi di stato di paesi musulmani e occidentali”, come ha ribadito il vice primo ministro turco Numan Kurtulmus.
Per questo nei giorni scorsi il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha intrattenuto conversazioni telefoniche sia con il Qatar che con i leader di Russia, Kuwait e Arabia Saudita per facilitare lo scioglimento della crisi diplomatica in atto. Secondo quanto riferito dal portavoce della presidenza turca Ibrahim Kalin, da parte di Erdogan sarebbe stata sottolineata l’importanza della pace e della stabilità regionale, oltre alla necessità di concentrarsi sulla via della diplomazia e del dialogo per ridurre l’attuale tensione.
Intanto anche Francia e Kuwait sono scesi in campo per risolvere in modo diplomatico la controversia tra i vari paesi arabi e il Qatar.
È ancora presto per dire in che modo si evolverà questo scontro, ma di sicuro alcune conseguenze sono già tangibili. Gli effetti della decisione dei paesi arabi di isolare il Qatar sta già avendo effetti devastanti sull’economia del paese. La sua compagnia aerea di stato, una delle più grandi del mondo, ha perso molti voli. Il prezzo del petrolio sui mercati internazionali è salito (il greggio Wti del Texas dell’1,6% a 48,46 dollari al barile mentre il Brent avanza dello 0,6% a 50,56 dollari) e la Borsa del Qatar è crollata. Anche i campionati mondiali di calcio che l’emirato del Qatar dovrà organizzare nel 2022 sarebbero a rischio.
A questo si aggiunge che il settore di maggiore interesse in Qatar è quello petrolifero; subito dopo la notizia dell’embargo Doha si è affrettata a comunicare che rispetterà gli impegni sulle forniture di gas naturale liquido, Lng, e che non verrà chiuso Dolphin il gasdotto che trasporta gas naturale negli Emirati, almeno in questa prima fase. Il fatto che gli Emirati Arabi hanno un grande bisogno del gas del Qatar (più di quanto il Qatar abbia bisogno di loro) è un aspetto tutt’altro che secondario: metà del gas per generare elettricità negli Emirati arriva dal Qatar e senza le forniture di Lng i grattacieli di Dubai resterebbero spenti o sarebbero costretti a comprare il gas naturale più costoso presente sul mercato libero.
Il pericolo è che la pressione della coalizione araba possa cambiare gli equilibri geopolitici della zona che fino a non molto tempo fa vedevano Turchia e Iran occupare posizioni opposte sul modo di gestire il conflitto in corso, una divergenza che si era tradotta anche in modi differenti di fornire sostegno alle forze che combattono sul campo. Da un lato Ankara si era adoperata per il rovesciamento del regime di Bashar al-Assad, dall’altro Teheran aveva esercitato pressioni in direzione contraria.
L’unica certezza ad oggi è che il nuovo fronte di scontro, più che dovuto a motivazioni di diritto internazionale o altro, è l’ennesima prova di forza voluta da Riad col sostegno della Casa Bianca per affermare la propria leadership sui Paesi arabi della regione. Una tesi rafforzata dall’azione condotta dall’Arabia Saudita in molti paesi africani con l’obiettivo di creare un fronte comune per assumere la supremazia nel mondo arabo, musulmano sunnita e in Medio Oriente.