Quasi 46 milioni di schiavi nel mondo

di C. Alessandro Mauceri –

Sono stati diffusi i risultati dello studio Global Slavery Index 2016, redatto dalla Walk Free Foundation. Secondo i ricercatori, ancora oggi nel mondo 45,8 milioni di persone vivono in condizioni di schiavitù. I ricercatori hanno considerato 24 fattori di vulnerabilità in quattro dimensioni che coprono: protezione dei diritti civili e politici, salute sociale ed economica, sicurezza personale e popolazioni di rifugiati e provenienti da conflitti.
L’analisi è stata condotta analizzando lo stato di 167 paesi, ma anche effettuando controlli a campione e sondaggi a volte a livello statale (come in India) altre volte mediante interviste (42.000 in 53 lingue diverse). I ricercatori non si sono fermati davanti alle difficoltà incontrate: misurare il numero di persone in stato di schiavitù moderna spesso è molto difficile proprio a causa della natura nascosta di questo crimine e dei bassi livelli di identificazione delle vittime.
La maggior parte degli schiavi del XXI secolo è localizzata in cinque paesi: India, Cina, Pakistan, Bangladesh e Uzbekistan. In questi paesi gli schiavi e la manodopera a basso costo producono beni di consumo destinati ai mercati in Europa occidentale, Giappone, Nord America e Australia.
Il maggior numero assoluto di schiavi vive in l’India (18 milioni), ma se si guarda alle percentuali sul totale della popolazione e si fa riferimento alla schiavitù moderna a guidare la classifica è la Corea del Nord. Secondo lo studio, ben il 4,37% della popolazione nordcoreana viva in condizioni di schiavitù.
Diversi i risultati sorprendenti. A cominciare dal fatto che rispetto all’ultimo rapporto il numero degli schiavi è cresciuto sensibilmente (circa il 30%). Nel 2014, erano 35,8 milioni; ora, secondo i ricercatori della Walk Free Foundation, sono aumentati di oltre dieci milioni.
Ma dal rapporto si evince che nessun paese è “libero”. Se è pur vero che la più bassa prevalenza di schiavitù moderna in proporzione alla popolazione è stata rilevata in Lussemburgo, Irlanda, Norvegia, Danimarca, Svizzera, Austria, Svezia e Belgio, gli Stati Uniti e il Canada, e Australia e Nuova Zelanda, è altrettanto vero che nessun paese è libero da questa forma di sfruttamento dell’uomo.
Negli Usa, ad esempio, sono oltre 57mila gli schiavi. E in Giappone, secondo i ricercatori sarebbero ben 290mila (oltre 2 persone ogni mille).
In Europa sono oltre un milione e duecento mila i nuovi schiavi. Pur avendo la più bassa incidenza regionale di schiavitù moderna al mondo, l’Europa rimane una regione di sorgente per lo sfruttamento di uomini, donne e bambini nel lavoro forzato e lo sfruttamento sessuale commerciale. Secondo i dati Eurostat, i cittadini dell’Unione Europea (UE) rappresentano il 65 per cento degli schiavi: provengono in gran parte dall’Europa dell’Est (da paesi come Romania, Bulgaria, Lituania e Slovacchia); quelli che provengono da paesi extra UE arrivano prevalentemente dalla Nigeria, dalla Cina e dal Brasile. Il lavoro forzato e la prostituzione sono le forme più comunemente riportati di schiavitù moderna in Europa (sebbene in Turchia si siano verificati numerosi casi di matrimoni minorili forzati).
Al vertice (negativo) dei paesi in Europa c’è la Macedonia. La situazione migliore si verifica in Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Norvegia, Spagna, Svezia,
Svizzera e Regno Unito. Ma anche in questi paesi i casi si schiavitù non mancano. In Germania sono 14500 lo 0,018 per cento della popolazione, la stessa percentuale della Francia e del Regno Unito. Ben peggiore la situazione in Italia: qui, secondo Walk Free Foundation, sono quasi 130mila gli schiavi (il 2 per mille dei lavoratori).
Un dato che non sorprende dato che, secondo i ricercatori, la schiavitù moderna è influenzata da diversi fattori legati alla presenza o assenza di protezione e rispetto dei diritti, la sicurezza fisica e la sicurezza generale, l’accesso alle necessità della vita, come cibo, acqua e assistenza sanitaria, e modelli di migrazione, spostamento e di conflitto.
Interessanti anche i risultati della ricerca sotto il profilo geopolitico generale. Dei 161 paesi analizzati, solo 124 hanno classificato come reato il traffico di esseri umani, in linea con le direttive contenute nel Protocollo delle Nazioni Unite. E solo 96 hanno attuato piani d’azione nazionali (PAN) per trasformare queste direttive in legge.