RD Congo. Dove le risorse minerarie fanno passare in secondo piano la strage di innocenti

di C. Alessandro Mauceri –

Di alcune guerre si parla continuamente, di altre invece la maggior parte dei media dicono poco o niente. Come della guerra che da anni sta sterminando la popolazione della Repubblica Democratica del Congo: un vero e proprio genocidio che ha già causato più di 6 milioni di morti (la metà delle quali bambini di meno di 5 anni) ai quali si aggiungono le centinaia di migliaia di ragazze violentate e mutilate.
Come sempre la causa di questi scontri è il denaro. In questo caso sotto forma di controllo delle risorse minerarie del Paese. Come ha confermato padre Loris Cattani, missionario saveriano, membro della Rete “Pace per il Congo”, in una recente intervista: “Si lotta per il controllo di un territorio ricco di risorse naturali”, e ha aggiunto “queste risorse naturali vanno gestite dall’amministrazione. C’è un codice minerario che regola l’attività mineraria”, ma dato che manca un reale controllo da parte del governo “si lascia libero spazio alle rivalità dei vari gruppi armati per impossessarsi, appunto, di un territorio in vista dello sfruttamento delle risorse naturali che si trovano in quel territorio”.
Il Congo è un paese ricchissimo di materie prime (diamanti, oro, stagno, gas, petrolio, uranio, coltan), ma anche di foreste (e quindi di legno pregiato) e di risorse idriche che, a volte, sono più preziose dell’oro. Eppure la sua popolazione ha un reddito medio tra i più bassi al mondo. Una povertà che non è solo economica ma anche sociale: le condizioni di vita sono terrificanti, malattie curabili stanno decimando quelli che non muoiono massacrati dagli scontri tribali (nelle Province dell’Est il tasso di malati di AIDS ha raggiunto il 20% della popolazione). Ma di tutto questo nessuno parla.
“La popolazione civile si trova tra due fuochi: i gruppi armati e l’esercito congolese. Quindi praticamente è proprio la popolazione civile che ne fa le spese, in quanto si vede poi costretta a fuggire, per evitare di essere vittima di uno scontro tra esercito e gruppo armato”, aggiunge padre Cattani. La gente vive in uno stato di povertà estrema, mentre ad arricchirsi sono le multinazionali che sfruttano le ricchezze naturali del paese. Materie prime fondamentali per molte grandi industrie automobilistiche, per l’industria hitech e la gioielleria. Il Congo dispone del 60% delle risorse mondiali di coltan che è essenziale per la fabbricazione delle batterie di computer e smartphone.
I governi dei paesi “sviluppati” sembrano non accorgersi di ciò che avviene in Congo: anche gli americani, paladini dei diritti civili e della democrazia, sembrano aver dimenticato le loro stesse leggi. Anche Donald Trump, presidente degli Usa, così sensibile per i bambini morti dopo i bombardamenti in Siria e in Afganistan, non sembra provare lo stesso sentimento per i milioni di bambini uccisi in Congo. Nel 2010, l’allora presidente Obama aveva fatto approvare il Dodd Frank Act, che obbligava le aziende a garantire che nessuno dei propri prodotti contenga minerali provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo e dai Paesi vicini. Ora, dopo il cambiamento ai vertici della Casa Bianca, pare che Trump voglia abrogare il “Dodd Frank Act” e riaprendo l’importazione di alcune materie prime, “liberalizzando” il mercato dei cosiddetti minerali insanguinati la cui vendita alimenta di fatto il sistema economico di numerosi gruppi ribelli.
Per Raffaello Zordan, della rivista comboniana Nigrizia, “Trump evidentemente non tiene conto del fatto che sul terreno, come ad esempio, nelle Repubblica Democratica del Congo, nel Nord Est in particolare, ci sono situazioni molto difficili dal punto di vista del lavoro e della qualità della vita su cui questa abrogazione potrebbe avere degli effetti ancor più devastanti”. “Nessuno è mai riuscito a controllare i vari focolai di ribellione che ci sono nel Nord-Est della Repubblica democratica del Congo. Sono situazioni alimentate, provate da documenti Onu e non da fantasie. Ci sono state delle guerre negli ultimi venti anni per questa ragione”, ha detto Zordan.
Il fatto è che le pressioni delle multinazionali, affamate di materie prime di cui il Congo è ricchissimo, sugli Usa e su molti altri paesi sono fortissime. A conferma di ciò, la Cina avrebbe appena acquistato per 2,65  miliardi di dollari, la miniera di Tenke  nel sud-est della Repubblica democratica  del Congo, una delle zone “calde” del paese. Un affare che secondo il Financial Times, darebbe a Pechino il controllo dei due terzi del mercato mondiale  del  cobalto, ponendo la Cina in condizioni di quasi monopolio nella produzione di batterie elettriche, indispensabili per la produzione di auto elettriche di oggi e di domani.
Poco efficaci anche gli interventi dell’ONU. Neanche l’uccisione dei delegati delle Nazioni Unite è servita a richiamare l’attenzione dei media sul paese: il 12 marzo scorso, sono stati rapiti e uccisi due funzionari delle Nazioni Unite inviati per investigare sulle fosse comuni nel Kasai. I corpi di Michael Sharp, statunitense, e Zaida Catalan, svedese, sono stati ritrovati insieme a quello del loro interprete congolese Bete Tshintela. La Catalan era stata decapitata. Il 2 aprile anche il viceministro degli esteri italiano, Mario Giro, ha diffuso un comunicato molto preoccupato sull’aggravarsi della situazione in Congo. Ma a questo non è seguita alcuna azione.
Il Congo è sull’orlo del caos. Una situazione che fa comodo a chi governa: il secondo e ultimo mandato del presidente Joseph Kabila è già scaduto da tempo, ma nessuno ha indetto nuove elezioni. Anche l’“accordo di San Silvestro” siglato fra maggioranza e opposizione (che prevedeva un anno di transizione e nuove elezioni nel 2017) pare essere stato cancellato (con la scusa che non ci sarebbero i fondi per indire le elezioni). In Congo, essere al potere significa gestire affari miliardari con le multinazionali e i paesi affamati di materie prime.
Sebbene sia uno dei paesi più ricchi d’Africa e, forse, del mondo, tra scontri tribali, governi dispotici, epidemie di febbre gialla, esondazioni e sfruttamento delle materie prime il Congo è diventato una terra maledetta dove il confine tra la vita e la è sempre più esile e dove strazio e dolore sono ormai l’ordinario. E tutto questo nel silenzio imbarazzante del resto del mondo.