Russia. La morte di un eroe sconosciuto

di Giovanni Caprara –

Si è spento a 78 anni Stanislav Petrov, l’ufficiale dell’Armata Rossa che durante la Guerra Fredda evitò il disastro nucleare. Un eroe dimenticato, infatti la notizia del suo decesso è stata diffusa solo da qualche giorno.
Il 26 settembre del 1983, nel bunker della centrale di allarme missilistica di Serpukhov 15, vicino a Mosca, il computer notificò il lancio di 5 ICBM statunitensi. L’ufficiale di guardia, Stanislav Petrov, aveva a disposizione 10 minuti per valutare la gravità della minaccia, dopo di che gli correva l’obbligo di avvisare il suo superiore, il quale avrebbe poi informato il segretario generale del PCUS. Quest’ultimo, basandosi su quelle informazioni, non potendo disporne di altre, e con l’esigenza assoluta di salvaguardare la sua nazione secondo la dottrina della Mutual Assured Destruction, non avrebbe potuto far altro che ordinare la ritorsione nucleare su vasta scala contro gli Stati Uniti. Petrov valutò la minaccia come non attendibile, sulla base dell’esiguo numero di missili in aria e sui segnali che erano stati inviati dai satelliti Kosmos-382, denominati “Oko”, ossia occhio. Questi erano la frettolosa risposta sovietica alla corsa al nucleare statunitense e pertanto difettosi e scarsamente affidabili, ed inoltre i dati elaborati da un computer vetusto come l’M10, con la ridicola capacità di 10 milioni di operazioni al secondo, fornivano risultati non in linea con quanto osservato sugli schermi radar, sui quali, infatti, non era evidenziata nessuna traccia. In seguito, si stabili che l’M10, a causa di un malfunzionamento, si posizionò autonomamente in modalità di attacco ed inviò anche falsi segnali dai satelliti.
L’episodio culminò nel 7 novembre 1985 quando Reagan e Gorbaciov a Ginevra enunciarono il concetto di Guerra Nucleare Non Intenzionale, ossia l’inizio di ostilità causate da un errore tecnico o umano.
La storia ci ha consegnato tre episodi fondamentali relativi a tale probabile accadimento: il 3 giugno 1980 al Comando generale della Difesa degli Stati Uniti, il NORAD, il computer principale rilevò il lancio multiplo di missili balistici intercontinentali dall’Unione Sovietica. Gli analisti valutarono l’accaduto, ma in attesa del responso vennero posti in stato di allarme 100 bombardieri strategici B-52, tutti armati con bombe nucleari. Gli uomini del NORAD ebbero bisogno di quindici minuti per scoprire l’errore e lo stato di allarme rientrò.
Un episodio identico si ripeté il 6 giugno, e gli strateghi statunitensi posero nuovamente in allerta i bombardieri, successivamente i tecnici stabilirono che il computer aveva subito uun malfunzionamento e produceva autonomamente cifre che rappresentavano il numero dei missili intercettati.
Il 2 novembre 1983 la NATO simulò una escalation globale, il cui nome in codice era “Able Archer 83”. L’esercitazione includeva anche un nuovo codice di criptazione delle comunicazioni, l’assoluto silenzio radio e la cooperazione dei governi membri della NATO, in particolare Regno Unito e Germania. Nel corso degli 8 giorni di addestramento congiunto con gli alleati, gli USA innalzarono lo stato di allerta nelle basi militari e nelle centrali missilistiche, fino al livello d’allarme DEFCON 1. Il centro di comando e controllo del Supreme Headquarters Allied Powers Europe venne ubicato a Casteau, a nord della città di Monsè. Gli analisti sovietici la valutarono come una esercitazione, ma i servizi di intelligence russi si attendevano come strategia di attacco degli statunitensi proprio un dispiegamento imponente di forze a livello addestrativo, atte però a celare l’inizio di attività ostili. Pertanto allertarono le loro forze nucleari in Polonia e Cecoslovacchia e posero tutte le unità aeree nella Germania dell’Est e nella stessa Polonia in stato di massima prontezza operativa. La simulazione terminò con un giorno d’anticipo, l’11 novembre, e questo persuase il governo dell’URSS che si trattasse solo di una realistica esercitazione.
Questi sono gli accaduti che gli esperti valutano come quelli che maggiormente avrebbero provocato una guerra nucleare non intenzionale, ma in realtà altri episodi, meno noti, potevano tramutarsi in tragedia.
Durante la crisi dei missili di Cuba, i comandanti di un destroyer USA, il Cony, e di un sommergibile russo, il B-59, si confrontarono con una serie di azioni intimidatorie crescenti, ma lo statunitense esagerò con l’uso delle bombe di profondità, seppure con cariche a salve. Il russo interpretò questa provocazione come il preludio ad un attacco reale ed ordinò di approntare un siluro nucleare per colpire l’antagonista con una azione preventiva. Il lancio del sistema d’arma prevedeva, secondo le regole di ingaggio sovietiche, l’accordo fra il comandante, il secondo e l’ufficiale politico. Solo il diniego del secondo, impedì alle due superpotenze una escalation nucleare, infatti se il Cony fosse stato colpito, la reazione statunitense non si sarebbe fatta attendere.
Per rimanere in ambito dei sommergibili, forse un episodio simile accadde al K-141. E’ una delle ipotesi sull’affondamento del battello sovietico, probabilmente la meno plausibile, ma abbastanza esplicativa nel contesto di una valutazione non corretta atta ad ingenerare una risposta nucleare. Il Kursk interruppe i contatti radio alle ore 10.30 del 12 agosto 2000, dopo che erano state captate due forti esplosioni. La ricostruzione racconta che il K-141 era tallonato dai sommergibili statunitensi Toledo e Memphis, i quali erano in missione ELINT per la raccolta dati sui nuovi siluri che armavano il Kursk. Il comandante del Memphis si avvicinò eccessivamente al K-141, fino ad impattarci. Valutando l’errore di manovra come un attacco, l’ufficiale al comando russo diede immediatamente l’ordine di caricare i tubi di lancio con i siluri e di aprire i portelli esterni. Il Toledo rilevò i transienti provocati dal rumore dei portelli che si stavano aprendo e, per difendere il Memphis danneggiato, lanciò per primo un MK-48 che affondò il Kursk.
La sicurezza dei moderni sistemi d’arma, l’implementazione tecnica dei computer e sensori, l’addestramento degli addetti agli armamenti e l’attenzione sul fattore umano a livello psico-fisico, diminuiscono sensibilmente la probabilità di errore, ma purtroppo non lo escludono completamente.