Russiagate: crisi della leadership di Washington

di Francesco Cirillo

Le conferme dall’audizione di James Comey davanti alla Commissione d’intelligence del Senato sono arrivate: gli hacker russi hanno interferito con il voto, il generale Michael Flynn era ed è tutt’ora sotto indagine del Bureau. Ma tutto ciò è abbastanza per aprire una procedura di impeachment nei confronti del presidente? Difficile a dirsi, dato che le informazioni a nostra disposizione non sono ancora sufficienti. Tuttavia si può affermare che per l’amministrazione Trump sta per iniziare un stagione estiva decisamente bollente. Il Russiagate non mette solo in difficoltà la più grande democrazia del pianeta, ma rischia anche di scatenare una crisi di nervi che potrebbe minare la proiezione militare statunitense nel mondo a favore di due potenze che sono in attesa al varco: la Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping.
Sembra, almeno per ora, che la Cina rimanga nel ruolo di spettatore, pronto a criticare il modello statunitense, mentre la Russia ha conseguito il suo obiettivo primario di aprire una crisi tra il Deep State e la Casa Bianca. Mosca e Putin sanno perfettamente che è praticamente impossibile sconfiggere gli Usa per svariati motivi, tanto che le sanzioni hanno messo in stagnazione l’economia russa e il Cremlino non può competere militarmente con gli americani. Per questo Putin, ex agente del KGB ed ex capo dell’FSB, ha con tutta probabilità utilizzato la rete esistente di hacker russi per infiltrarsi nel sistema elettorale americano. Oltre a questo la rete russa è stata temporaneamente smantellata dalla decisione di Barak Obama, dello scorso dicembre, di espellere 35 diplomatici russi dagli Stati Uniti, identificati come spie dal Dipartimento di Stato. Putin non ha utilizzato solo la rete governativa (GRU ed FSB) per infiltrarsi negli USA, ma anche addetti dell’ambasciata russa di Washington tra cui lo stesso ambasciatore russo Sergej Kisljak, considerati alti membri delle rete d’intelligence del Cremlino.

Possibile frattura tra Washington e l’Europa.
La presidenza Trump ha creato una forte rottura anche con l’Unione Europea e con la sua maggiore potenza, la Germania di Angela Merkel. Merkel infatti ha dichiarato dopo il summit del G7 a Taormina in Italia che “gli europei devono prendere per mano il loro destino”.
L’America di Trump si trova a un bivio: se da una parte ha riconsolidato l’alleanza con Arabia Saudita e Israele (alleati storici in qualche modo emarginati da Obama), dall’altra ha aperto un burrone nell’Atlantico con l’Europa continentale, facendo rinsaldare la special relationship con la Gran Bretagna. Lo spettro dell’impeachment vaga per i corridoi del Congresso e della Casa Bianca rischiando di aprire una lotta di potere e di conseguenza portando ad un indebolimento della leadership statunitense sul panorama mondiale.
In gergo calcistico stiamo assistendo alla prima classificata che sta implodendo su se stessa. Anche se Washington rimane una superpotenza militare, la presidenza Trump sta aprendo la strada ad un ordine multipolare dove Cina, Russia e Germania vogliono una fetta del possibile vuoto di potere statunitense.