Serbia. Gli ultras di calcio e il loro ruolo nel nazionalismo serbo simpatizzante per Mosca

di Lorenzo Pallavicini

L’attuale contesto serbo vede un paese dove le forti spinte nazionaliste sono legate alla Russia non solo per ragioni storiche e religiose comuni, ad esempio il contrasto all’Impero Ottomano e l’adozione del cristianesimo di fede ortodossa, ma anche per il risentimento sul riconoscimento, da parte dei paesi occidentali, della repubblica del Kosovo, rivendicata da Belgrado come sua provincia e non ancora stato membro ONU anche per il veto posto da Mosca, apprezzato dai serbi.
Tra i maggiori seguaci dell’alleanza storica con i russi vi sono gli ultras serbi di calcio, complici dell’organizzazione di manifestazioni in sostegno al Cremlino che da diversi mesi avvengono a Belgrado ed in altre città della Serbia, con sovente la comparsa nelle curve degli stadi di striscioni o cori in favore della Federazione Russa.
Il ruolo del calcio nella nazione serba, sin dall’epoca jugoslava, è legato alla politica assai di più di quanto avvenga nei paesi occidentali in cui, tolto rari casi, le curve ultras non sono state fucina di rivendicazioni politiche volte a condizionare governi eletti democraticamente.
Tra gli episodi preliminari alle guerre balcaniche degli anni Novanta vi fu la partita tra la Dinamo Zagabria e la Stella Rossa di Belgrado, giocata nella città croata nel 1990, che vide duri scontri tra i supporters croati pro indipendenza e i serbi seguaci del nazionalismo di Milosevic, derivanti dalle teorie esposte nel 1986 dal Memorandum dell’Accademia serba delle scienze e delle arti, propugnanti il ritorno al centralismo di Belgrado a scapito della autonomia delle singole repubbliche jugoslave concessa dalla costituzione federalista titina.
Uno degli esponenti più importanti degli ultras della Stella Rossa, Zeljko Raznatovic, noto anche con il soprannome ” tigre Arkan”, fu uno degli organizzatori delle milizie paramilitari, composte anche da diversi ultras di calcio, che furono inviate sul territorio bosniaco a combattere per Belgrado, con responsabilità di diversi eccidi, un modello non dissimile dalle gesta delle milizie attualmente presenti in Ucraina legate al gruppo Wagner.
Non è un caso che il gruppo paramilitare di Prigozin abbia reclutato nei suoi organici anche esponenti legati al tifo ultras serbo, nonché in patria, dove i legami nazionalisti degli ultras russi giocano un ruolo persino nel reclutamento di volontari per la guerra in Ucraina. Lo stesso presidente serbo Vucic ha sottolineato pubblicamente il problema dell’influenza del gruppo Wagner sugli ultras di calcio serbi, chiedendo di smettere con tali interferenze.
Gli ultras serbi usano il calcio come potente arma mediatica per le loro azioni in favore del nazionalismo serbo e della amicizia con Mosca, oltre a godere di simpatie negli ambienti più radicali della società serba, memori dell’apporto dato da molti membri delle curve ultras a favore di Belgrado nelle guerre balcaniche.
Dal marzo 2012 la Serbia è ufficialmente candidata per diventare membro europeo, tuttavia non sono ancora state completate le riforme che la commissione europea chiede per accettare l’ingresso di Belgrado nella famiglia europea.
Il governo serbo oscilla da anni tra Bruxelles e Mosca ed il ruolo degli ultras di calcio può essere determinante nel fomentare eventuali rivolte di piazza, una capacità di mobilitazione delle tendenze nazionaliste e pro Cremlino che può fermare quelle riforme indispensabili per poter entrare nella UE, nonché impedire una risoluzione definitivamente pacifica del problema del Kosovo.
La guerra in Ucraina potrebbe portare una buona occasione geopolitica per Bruxelles, ovvero provare a sottrarre all’influenza russa la Serbia, nazione che non aderisce alle sanzioni economiche contro la Federazione Russa e che per Mosca rappresenta un grimaldello da conficcare nell’ambito balcanico.
Una divisione netta dei Balcani, con una parte alleata a Mosca, è per Putin obiettivo geostrategico di primaria importanza e mezzo per condizionare l’Unione Europea anche su dossier delicati, ad esempio la rotta balcanica dei traffici illegali di merci e persone o l’aggiramento delle sanzioni occidentali.
Sia gli europei che i russi sono consapevoli che la tensione nell’area balcanica continua a covare dai tempi in cui vi fu la resa serba nel 1999 seguita all’operazione militare Allied Force promossa dalla NATO, dalla quale nacquero le basi che avrebbero portato nel 2008 le autorità locali kosovare, capeggiate dall’ex comandante dell’esercito di liberazione del Kosovo Hasim Taci, a proclamare unilateralmente l’indipendenza del Kosovo da Belgrado.
Il conflitto ucraino ha dato una improvvisa accelerazione ad azioni che fino a poco tempo fa sembravano poco realistiche, ad esempio l’ingresso di Finlandia e Svezia, tradizionalmente neutrali, nella NATO e il contesto serbo potrebbe assumere a breve svolte nette che potrebbero portare a forti tensioni nei Balcani.
Per Bruxelles sarà indispensabile garantire totale appoggio al governo serbo qualora decida di sposare definitivamente la causa comunitaria, poiché è intuibile che una parte della società serba, ancorata al nazionalismo, sarà contraria alla integrazione UE, in particolare su concessioni sul Kosovo, con gli ultras che potrebbero assumere ruoli di primo piano in eventuali rivolte di piazza, che il Cremlino potrebbe alimentare per evitare di perdere uno dei pochi paesi europei ancora in parte ammiccante a Mosca.