Serbia. No al voto anticipato

di Valentino De Bernardis – 

La notizia ufficiale è arrivata nella tarda serata di mercoledì scorso, al termine della riunione di presidenza del Partito Progressista (Sns): la Serbia non andrà ad elezioni anticipate in primavera. La mozione del presidente, Aleksandar Vučić, di portate il parlamento al termine naturale della sua scadenza è stata votata alla quasi unanimità dal direttorio del partito (solo due voti contrari), ribadendo già quanto era stato deciso in novembre.
Ma come è possibile che in un paese caratterizzato nell’ultimo quinquennio da una forte stabilità politica, nel breve volgere di due mesi il primo partito di governo sia stato chiamato ad esprimersi sulla stessa questione? Le richieste dell’ultimo mese e mezzo di scioglimento anticipato del parlamento avrebbero visto la regia, condizionale d’obbligo, di alti funzionari dello stesso Sns, come il ministro degli interni Nebojša Stefanović e del ministro delle infrastrutture Zorana Mihajlović, in un potenziale tentativo di rafforzare la propria posizione sia all’interno del partito che dello stesso esecutivo. Dopotutto la ricerca di maggiore consenso attraverso il ricorso anticipato alle urne ha da sempre rappresentato la strategia politica vincente del Partito Progressista, come già successo con le elezioni del 2014 e del 2016.
Un dato politico importante venuto fuori dagli eventi del 10 gennaio, non che ve ne fosse bisogno, è la forte leadership del presidente Vučić. Unico vero padre-padrone del Sns e anche della Serbia, di cui dall’anno scorso ricopre la presidenza della repubblica, Vučić può contare su una elevato grado di moral suasion all’interno della maggioranza di governo, rafforzata dalle continue vittorie elettorali e da una opposizione troppo frammentata per rappresentare un reale pericolo.
Messa da parte la possibilità di elezioni legislative nella prossima primavera, buona parte dei cittadini serbi saranno ugualmente chiamati ad esprimere la propria preferenza nelle programmate elezioni amministrative, che vedono il rinnovo delle cariche istituzionali in importanti città, tra cui Belgrado.
Senza ancora una data definita, ma probabilmente non più tardi di marzo, le amministrative rappresentano una importante cartina di tornasole più per le opposizioni che per la maggioranza. Un banco di prova generale, per provare a mettere a confronto le rispettive agende politiche e creare una potenziale alternativa di governo credibile e affidabile entro i prossimi anni.
Per una serie di motivi, la partita più importante sarà certamente quella della di Belgrado. Nella capitale l’opposizione ha infatti lo zoccolo duro del suo elettorato, sebbene sempre troppo frammentato. La scesa in campo dell’ex sindaco (2008-2013), ed ex leader del Partito Democratico (Ds), Dragan Đilas, se da una parte potrebbe rappresentare una candidatura forte e credibile all’amministrazione della città, dall’altra non pare sufficiente a mettere assieme tutti i voti anti-Sns presenti a Belgrado. Gli insuccessi politici e i nemici creatosi durante la guida dei Ds potrebbero rappresentare una pesante zavorra elettorale da cui sarà difficile liberarsi, e il sostegno già incassato del Movimento dei Liberi Cittadini (Psg) è solamente una piccola goccia nel mare.
In ambito locale, la situazione non è facile neanche per i Progressisti di Vučić. Il sindaco uscente di Belgrado Sinisa Mali (Sns), non andrà alla ricerca di un secondo mandato, e ancora non si è riusciti a trovare un candidato che ne possa prendere l’eredità e, cosa più importate, vincere senza troppi patemi le elezioni. Gli ultimi sondaggi di inizio anno come sempre danno i Progressisti in netto vantaggio, ma la strada davanti davanti è ancora lunga, e le sorprese sono sempre dietro l’angolo.

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