Siria. Al via la “pax” russo-turca. Presto ad Astana i colloqui, dove l’occidente resterà a bocca asciutta

di Enrico Oliari

“Sono stati firmati tre documenti. Il primo tra il governo siriano e le forze armate dell’opposizione per il cessate il fuoco su tutto il territorio della Repubblica araba siriana”. Lo ha riferito con una certa soddisfazione il presidente russo Vladimir Putin al ministro degli Esteri Sergei Lavrov e a quello della Difesa Sergei Shoigu, dopo che le parti hanno sottoscritto il cessate-il-fuoco proposto a seguito dell’incontro tra la Russia e la Turchia.
La tregua, che arriva dopo più di cinque anni di guerra ed una collezione di insuccessi da parte delle Nazioni Unite, parte dalla mezzanotte ed interessa tutto il territorio ad esclusione delle aree controllate dai gruppi terroristici, in particolare quelle soggette allo Stato Islamico. Esclusi, al contrario di quanto aveva sperato Ankara, anche i jihadisti di Jabat Fatah al-Sham, ex Jabat al-Nusra (al-Qaeda), i quali sono sulla lista dei terroristi di tutti i paesi.
Va detto che alla tregua si è arrivati dopo la presa di Aleppo, ovvero dopo che è diventata irreversibile e incontestabile la vittoria di Bashar al-Assad nel conflitto, mentre e l’inviato dell’Onu Staffan de Mistura ha organizzato tavoli di trattative quando sembrava possibile la vittoria degli insorti e del complesso politico che li appoggia, cioè Usa, Ue, monarchie del Golfo e Turchia. Quest’ultima, che per anni ha fatto transitare sul proprio territorio armi, beni, petrolio e decine di migliaia di foreign fighters, ha oggi una posizione conciliante poiché, con tutta probabilità, è riuscita ad ottenere dai russi risposte chiare e garanzie sulla presenza dei curdi dell’Ypg lungo il confine siriano, perlomeno fino alla linea dell’Eufrate. D’altronde il presidente Recep Tayyp Erdogan, sentitosi abbandonato dall’occidente a seguito del (presunto) golpe del 15 luglio, sta oggi cercando di costruire un ruolo con la Russia e quindi di far passare la Turchia per paese pacificatore di una crisi che lui stesso a contribuito a creare.
Se in passato Ankara e i ribelli indicavano come condicio sine qua non la rimozione immediata del presidente siriano Bashar al-Assad, oggi appare evidente che il suo ruolo non viene più messo in discussione.
Si vocifera invece di una futura ridefinizione della Siria in chiave federale, cosa che verrà fatta attraverso una riforma costituzionale dopo nuove elezioni, ma appare evidente che le potenze vincitrici, cioè Russia, Iran e ora la Turchia, avranno nel quadro siriano rispettive zone di influenza. Oltre a loro sarà da vedere cosa otterranno i curdi siriani dell’Ypg, perennemente osteggiati dalla Turchia ma autori di importanti vittorie, ad esempio a Kobane (hanno combattuto anche con i regolari ad Aleppo), e gli Hezbollah libanesi.
Sconfitti – è inutile girarci in torno – gli occidentali, che contavano di subentrare alla zona di influenza russa, e le monarchie del Golfo, le quali hanno sovrapposto alla crisi un’infinità di assurde guerre a cominciare da quella confessionale tra sciiti e sunniti e quindi con l’Iran, per arrivare a quella tra Arabia Saudita (al-Qaeda) e Qatar (Isis) per il predominio nel Medio Oriente.
Putin ha spiegato ai suoi che gli altri due documenti riguardano “una dichiarazione di disponibilità ad avviare i negoziati di pace per la soluzione della crisi siriana” e le regole per i monitoraggio della tregua.
Accordi “fragili e che richiedono molta attenzione e pazienza, oltre a un costante contatto con i partner”, ha sottolineato il presidente russo. Ha poi aggiunto che in prospettiva vi sarà una graduale riduzione del dispiegamento delle forze russe, per quanto “la Russia continuerà a combattere il terrorismo in Siria”.
L’accordo è stato sottoscritto per la parte dei ribelli da 7 gruppi, definiti da Shoigu “il fulcro” dei ribelli, e dalla Coalizione nazionale siriana (Cns,), ovvero dall’opposizione in esilio.
I negoziati per la pace e la ricostruzione della Siria si terranno prossimamente ad Astana, in Kazakistan, ed oltre all’Iran è stato invitato l’Egitto. Grandi esclusi, al momento, sono Onu, occidente e paesi del Golfo.

Foto: Mikhail Klimentyev / Reuters.