Siria. Crisi dell’acqua a Damasco. Perché c’è chi sabota gli acquedotti

di Angelo Gambella

Il 23 dicembre le autorità di Damasco annunciano la chiusura delle condotte idriche verso la città e l’area metropolitana, motivata dalla contaminazione dell’acqua con diesel ed altre sostanze tossiche immesse arbitrariamente nella sorgente da formazioni ribelli.
La sorgente di al-Fejia si trova nella zona montuosa di Wadi Barada, a nord-ovest di Damasco, non distante dal confine libanese. L’area costituisce una sacca ribelle di piccola estensione, non lunga più di 6 km da una estremità all’altra. Le formazioni armate che la controllano, come nel caso di altre aree siriane, sono diverse e differenti da loro e variano da formazioni ribelli che possono essere annoverate tanto nell’opposizione siriana ammessa ai negoziati che nella galassia dei gruppi jihadisti compresi i quaedisti ex al-Nusra, oggi Jabat Fatah al-Sham; in parte sono insorti nativi del luogo altri sono combattenti provenienti da altre zone del martoriato paese arabo.
I responsabili dell’avvelenamento dell’acqua sono immediatamente identificati nei gruppi ribelli: media e attivisti tanto filo-governativi che indipendenti non hanno dubbi. 5 milioni di persone sono di punto in bianco senz’acqua potabile, le autorità locali rendono disponibili le scorte preparate per l’estate e l’approviggionamento idrico è effettuato con autobotti ed altri mezzi di fortuna.
Un comunicato dell’ONU del 24 dicembre mostra preoccupazione per 4 milioni di persone senza acqua potabile a Damasco, ma non fa alcuna menzione dei responsabili del sabotaggio.
Ma è la consueta tattica dell'”avvelenamento dei pozzi” o qualcos’altro? Attivisti più vicini alla ribellione segnalano che il regime ha bombardato, non è chiaro quando, con le famigerate bombe barile (imprecise, data la loro natura di bombe a caduta, talvolta mine anti-nave) lanciate da elicotteri, obiettivi nei dintorni della sorgente di Wadi Barada. L’inquinamento della falda con diesel sarebbe stato, dunque, esito dei bombardamenti. Ma apprendiamo da altri media che per ammissione degli stessi insorti, sono stati scavati e minati tunnel nella zona degli impianti per farli eventualmente saltare, come ritorsione, in caso di attacco delle truppe di Damasco. Non possiamo, ad ogni modo, verificare che l’esercito arabo-siriano abbia potuto ricorrere ad un attacco tanto autolesionistico per la propria gente ed utile solo a creare un pretesto, un casus belli, per riprendere l’offensiva su Wadi Barada ferma da mesi. Offensiva peraltro ripresa in emergenza nelle ore immediatamente successive all’evento ed estranea, per la presenza di elementi jihadisti, al successivo cessate-il-fuoco governo-ribellione raggiunto nelle ultime ore dell’anno 2016 con l’accordo russo-turco. Di conseguenza per i lealisti non serviva e non serve alcun pretesto per intervenire militarmente a Wadi Baradi.
L’accertamento dell’effettiva responsabilità è reso ulteriormente complicato da un comunicato emesso da ribelli in cui si afferma la disponibilità di riparare le strutture, nel caso di una sospensione dell’offessiva. Tale disponibilità contrasta con una precedente interruzione dell’acqua volontariamente effettuata dai ribelli ed avvenuta in piena estate, nel luglio del 2015. Gli americani della testata “Moon of Alabama” hanno evidenziato come il comunicato dei ribelli rechi il logo degli “Elmetti bianchi”, la contestata organizzazione umanitaria che pur finanziata da paesi occidentali è spesso collegata sul terreno ad al-Nusra (ex). Le successive notizie rilasciate dal 27 dicembre in poi, da parte di media filo governativi di un danneggiamento bellico delle strutture alla sorgente oltre all’immissione di sostante tossiche, e prime immagini satellitari, confermano che effettivamente si sono verificate esplosioni: quasi impossibile stabilire, allo stato attuale, se dovute a sabotaggio da parte dei ribelli o a contrattacco governativo.
Di certo, poco prima della contaminazione dell’acqua, l’esercito siriano forte della liberazione di Aleppo, e appoggiato sul terreno da hezbollah libanesi, aveva intimato alle formazioni ribelli di arrendersi e consegnare i villaggi al governo. Se altre località della Damasco rurale si sono riconciliate con il governo/regime proprio in questi giorni, la sacca di Wada Barada, nonostante la richiesta di una parte dei civili, ha finora rifiutato la trattativa. Gli accordi con il governo consistono solitamente nell’amnistia per chi sceglie di riconciliarsi con lo stato siriano, e nel trasferimento ad Idlib per chi intende continuare a combattere. Con l’inizio dell’assalto, circa 1.200 persone hanno lasciato la zona del conflitto e sono state riparate nei sobborghi di Damasco controllati dal governo.
Le operazioni militari a Wadi Barada sono attualmente in corso e data la difficoltà ambientale, le forze armate siriane non sono state in grado di venire a capo della situazione nel breve tempo nonostante i primi avanzamenti. Recuperare la sorgente e l’acquedotto richiede la preparazione di un più complesso piano di battaglia. Sempre che un qualche accordo con i ribelli non consenta una soluzione pacifica.
Intanto a Damasco l’emergenza idrica continua. A dare un quadro di vita quotidiana a Damasco ci pensa al-Masdar News che riferisce di alcuni ricoveri ospedalieri per avvelenamento poiché l’acqua fornita da alcune autobotti è puramente per uso personale e non è potabile neppure se bollita.

Foto: al-Masdar news.