Somalia. Due attentati targati al-Shabaab in una settimana

La delicata situazione del Paese.

di Gianluca Vivacqua

Ieri due forti esplosioni sono state udite non molto lontano da Villa Somalia, il palazzo presidenziale di Mogadiscio costruito tra il 1922 e il ’36 da maestranze italiane. I boati sono stati intervallati da alcuni spari poiché, come riferiscono le fonti, tra il primo e il secondo attentato si è avuto come intermezzo un breve scontro a fuoco tra i poliziotti di un posto di blocco e gli attentatori. Non ancora del tutto precisato il bilancio delle vittime, sia di questo scontro che delle deflagrazioni. L’Ansa riferisce, citando ambienti della polizia, che due autobombe sono scoppiate, a poca distanza di tempo l’una dall’altra proprio davanti a quello stesso check point, la cui funzione era quella di controllare il traffico in prossimità della sede di lavoro del presidente Mohamed Abdullhai Mohamed.
Per il momento l’attacco non ha rivendicazioni chiare. Però solo pochissimi giorni fa, e più esattamente il 7 luglio, ossia lo scorso fine settimana, un attacco firmato al-Shabaab, il braccio somalo di al-Qaeda, aveva preso di mira la sede del ministero dell’Interno: e si può dire che di quest’ultimo l’attentato di Villa Somalia è, quanto a dinamica, quasi una fotocopia. Manca lo scontro a fuoco, ma identico è il numero di esplosioni. A sua volta l’attacco dello scorso lunedì era una specie di remake di quello del 25 marzo, perché anche allora, infatti, ad essere colpito era stato il ministero dell’Interno. Un remake, ma un po’ più in grande, per così dire, almeno quanto a numero di vittime: se nel giorno dell’Annunciazione erano state nove, in quello già noto per la strage d’Algeria del ’94 se ne sono contate tre in più.
Alla luce di questi fatti, sembra un gioco da ragazzi fare due più due e attribuire ai qaedisti del Corno d’Africa anche la paternità dell’attacco alla residenza del capo dello Stato. In pratica, poi, è da quando il movimento si è saldato con al-Qaeda (correva l’anno 2006) che nessun evento terroristico del paese ha mai avuto una matrice diversa da quella di Al-Shabaab. Se dunque, ragionevolmente, l’identikit del colpevole non dovrebbe suscitare particolare suspense, ciò che provoca davvero sgomento è come lo Stato continui a mostrarsi sostanzialmente imbelle di fronte alla minaccia – dichiarata, preventivata, insistita – della milizia jihadista, a dispetto di quanto lo stesso Abdullhai Mohamed, detto Farmajo (“Formaggio”), aveva solennemente promesso al paese, dopo la maxi-strage del 15 ottobre 2017. Quello fu il capolavoro della stagione di sangue del qaedismo somalo: un’autobomba fece 300 morti e 500 feriti , in una delle arterie principali della città, Jidka Afgooye, all’altezza del ministero degli Esteri. All’indomani di quell’apocalisse, Mohamed prese l’impegno di intensificare la lotta contro i terroristi e si rammaricò che fino a quel momento non fosse stato fatto abbastanza per arginarli. A distanza di nove mesi, però, i passi avanti sul fronte anti-jihadista non sono stati poi così tanti.