Strane cose succedono in Ucraina. Il caso di Michail Saakashvili

di Dario Rivolta *

Il fatto in questione è avvenuto al confine polacco-ucraino il 10 settembre scorso e riguarda l’ex-georgiano Michail Saakashvili. Il personaggio, divenuto famoso per aver scatenato una guerra suicida in Ossezia contro la Russia, fu presidente del suo paese per due mandati, tra il 2004 e il 2013 e, in barba alla Costituzione, cercò di candidarsi anche per un terzo turno ma gli fu proibito. Appena lasciato il potere, la locale magistratura lo incriminò per abuso di potere e corruzione ma, piuttosto di sottoporsi al processo, fuggì in Ucraina ove il suo amico Petro Poroshenko, divenuto presidente dopo i fatti di Maidan, gli attribuì la cittadinanza ucraina e lo nominò governatore della provincia di Odessa con il compito di (ironia della sorte!) di “combattere la corruzione”. Questo suo sorprendente incarico durò l’arco di pochi mesi (esattamente diciotto) perché nel novembre 2016 si dimise accusando pubblicamente il suo mentore di essere lui stesso complice e artefice dell’enorme illegalità da parte di politici e di locali oligarchi che stava devastando il Paese.
Dopo di lui quella giornata ha avuto un secondo protagonista, seppur a distanza: lo stesso presidente ucraino Petro Poroshenko. I due si erano conosciuti e avevano stretto amicizia nell’Università (allora sovietica) di Kiev e avevano mantenuto stretti rapporti anche in seguito. Durante i fatti di Maidan, Saakashvili, già in conflitto con la Russia, si schierò subito dalla parte dell’amico e, visti gli ottimi rapporti con gli americani, probabilmente si fece lui stesso garante dell’affidabilità di chi era allora solo un ricco imprenditore. Sull’onda delle speranze della popolazione ucraina che la cacciata di Viktor Yanucovich potesse finalmente portare un po’ di giustizia sociale e di onestà nella cosa pubblica, Poroshenko fu eletto con un buon rating. Purtroppo ben presto gli ucraini dovettero scoprire che tutti i nuovi arrivati erano perfino peggiori dei loro predecessori e che gli stessi oligarchi arricchitisi con spregiudicatezza negli anni precedenti continuavano a spadroneggiare, violando tutte le leggi o facendosele fare su misura dai politici da loro mantenuti. I volti nuovi, eletti in nome della raggiunta democrazia, dimostrarono immediatamente che il loro unico scopo era di arricchirsi il più velocemente possibile, sicuri che, comunque si comportassero, il sostegno di Stati Uniti ed Europa desiderosi soltanto di “contenere” con qualunque mezzo la Russia non sarebbe mai venuto meno. Poroshenko, già accusato da un altro ministro dimissionario, riuscì sempre a scaricare su altri le evidenze del malaffare che lo toccavano e non gli fu certo difficile poiché negli alti vertici dell’Ucraina di oggi, come si usa dire da noi, “il più pulito ha la rogna”. Anche dopo le accuse dell’ex-amico Saakashvili, la sua pronta reazione fu di togliergli la cittadinanza che gli aveva precedentemente concesso. Poiché i maligni sostengono che il georgiano avesse preso le distanze dal presidente per puntare a un personale futuro politico in concorrenza con lui, il venir meno della cittadinanza gli avrebbe reso impossibile ogni candidatura nel suo nuovo Paese.
Vediamo ora anche il terzo protagonista degli eventi del 10 settembre: l’ex primo ministro Yulia Timoshenko. Anche lei fu più volte implicata in fatti corruttivi che la riguardavano e durante la presidenza di Yanucovich fu anche processata e imprigionata. Naturalmente subito dopo Maidan fu scarcerata e cercò di rilegittimarsi come politica di successo. Nonostante la sua abilità comunicativa e la stampa occidentale che cercava di farla passare per una vittima del regime filo russo, gli elettori ucraini che la conoscevano non la votarono e lei non riuscì nemmeno ad avere uno strapuntino nel nuovo governo. Orfana del potere, si mise a capeggiare qualcuna delle rimaste forze di opposizione seppur con scarsi risultati. Vittima di astinenza da notorietà televisiva, ha voluto recuperare un po’ di visibilità presentandosi sulla scena di quanto stava per accadere.
E cosa è accaduto al posto di confine di Medjka? Qualcosa che il primo ministro Volodymyr Groisman ha giudicato essere “…l’inizio di un attacco contro lo Stato ucraino…”, minacciando gravi conseguenze penali per tutti i presenti ai fatti. Ed ecco i fatti: una volta lasciato l’incarico a Odessa, Saakashvili aveva annunciato di voler candidarsi in Ucraina con un suo partito creato per l’occasione, il Movimento per le Forze Nuove. Tuttavia, senza più la cittadinanza georgiana cui aveva dovuto rinunciare per accettare quella ucraina, e senza quest’ultima revocatagli da Poroshenko, era diventato apolide e quindi senza alcun passaporto valido. Nel Paese natale è addirittura ricercato come latitante ed è oggetto di una richiesta di estradizione avanzata verso Kiev. Fuggito anche dall’Ucraina, ha peregrinato in Paesi amici quali Stati Uniti, Lituania e Polonia e proprio da quest’ultimo ha cercato di rientrare in Ucraina per ivi costruire il suo nuovo futuro politico. Conscio che, validità dei documenti a parte, Poroshenko avrebbe cercato di impedirglielo, ha annunciato le sue intenzioni alle televisioni con il dovuto anticipo per avere la massima copertura dei media e aprire contemporaneamente la sua campagna elettorale. Si è quindi imbarcato in una cittadina polacca di confine sul treno che unisce la Polonia con Leopoli, una grande città ucraina da sempre filo-europea. Il treno però, a gestione ucraina, non è partito adducendo come ragione la presenza a bordo di un individuo non in possesso degli adeguati “documenti necessari per varcare il confine”. Tutti gli altri passeggeri, imbestialiti, hanno optato per un servizio di bus alternativo e, dopo alcune ore anche il georgiano ha deciso di noleggiare un bus e presentarsi comunque al posto di frontiera. Lì lo attendevano agenti ucraini dislocati per l’occasione che lo hanno bloccato. È allora arrivato un centinaio di suoi supporter che, con la forza, hanno messo fuori gioco i locali poliziotti e l’hanno caricato in auto fino a Leopoli. Con i manifestanti in suo soccorso c’era anche la Timoshenko, anch’essa desiderosa di cominciare la propria campagna elettorale sperando nell’aiuto di Saakashvili.
Tutti Insieme hanno raggiunto la piazza, dove li aspettava il sindaco Andrej Sadovyi, lui stesso membro dell’opposizione, e lì hanno parlato a qualche centinaio di persone chiedendo elezioni politiche anticipate. Tra i sostenitori anche un’attivista Femen a seno nudo con un cartello con scritto “Folli senza confini”.
La domanda che sorge ora spontanea è se le protezioni americane sempre godute dall’ex presidente georgiano siano arrivate al punto da aver puntato su di lui per un’alternativa al sempre più impopolare Poroshenko oppure se si sia trattato soltanto di un’azione personale di chi non accetta di essere ormai diventato un uomo qualunque. Di certo Kiev non ha gradito tutta la messa in scena e ha fatto sapere che prenderà in dovuta considerazione la richiesta di estradizione di Tbilisi qualora Saakashvili venga trovato ancora in territorio ucraino.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.