Sud Sudan. Resa dei conti all’interno del SPLM-IO

di Rodolfo Kiran –

machar_riekSi aggiunge un nuovo tassello al lungo percorso di pacificazione nazionale del Sud Sudan. A differenza di quanto accaduto in questi ultimi mesi, questa volta l’input viene da fuori il confine nazionale del giovane stato africano, è più precisamente dall’Etiopia.
Giovedì 22 settembre il primo ministro etiope Hailemariam Desalegn ha annunciato che il suo governo non è più disponibile a offrire asilo all’ex vicepresidente sud sudanese, e leader dell’opposizione armata del Sudan People’s Liberation Movement (SPLM-IO), Riek Machar, come fatto in passato. L’Etiopia si impegna così a garantire solamente il passaggio di Machar nel suo territorio, ma non un soggiorno prolungato come assicurato durante gli ultimi due anni di negoziati.
L’interesse primario etiope rimane di fatti quello di dare stabilità ad un paese suo vicino con il duplice obiettivo di mitigare la pressione dei profughi lungo il proprio confine, ed avere un fidato alleato in un contesto geopolitico regionale caratterizzato da nemici storici (Eritrea), Stati falliti in ricostruzione (Somalia), competitori per l’egemonia politico-economica regionale (Kenya), competitori per lo sfruttamento di risorse naturali (Egitto, Sudan).
La posizione etiope rappresenta un forte segnale che non sarà scevra di ripercussioni sulla comunità internazionale africana, e molto di più nelle dinamiche interne del Sud Sudan. Se da una parte il presidente in carica Salva Kiir sembra segnare un importante punto a suo favore, dall’altro il suo antagonista Machar vede la sua leadership all’interno del SPLM-IO subire un duro colpo, che potrebbe portare ad una sua totale defenestrazione qualora rimasse sulla sua posizione di non voler tornare nella capitale Giuba.
Un’ipotesi che sembrerebbe tutt’altro che peregrina, e che anzi rappresenta (se confermata) il completamento di un articolato piano politico, iniziato con l’ascesa tra le fila dell’opposizione di Taban Deng Gai, già ministro delle miniere e succeduto allo stesso Machar alla carica di vicepresidente lo scorso 26 luglio, dopo che questi aveva abbandonato Giuba. Una nomina simbolicamente molto importante che aveva portato varie autorità militari dell’esercito ribelle (come ad esempio i generali Liah Dui e Makal Kuol) a mutare la loro lealtà da Machar a Deng. Le posizioni più conciliatorie, pragmatiche e propense a trovare una intesa con il governo ufficiale hanno fatto di Deng un interlocutore più gradito anche alla comunità internazionale. Una circostanza che, sommata alla presa di posizione etiope, sembra ormai ufficiosamente aver messo Machar fuori dai giochi, riconosciuto come unico vero responsabile dell’instabilità e della guerra civile del paese.
Tesi promossa anche dagli Stati Uniti, altro alleato chiave del Sud Sudan. In linea con quanto descritto ricade l’annuncio della visita ufficiale del vicepresidente Deng a Washington dal 28 settembre al 4 ottobre, per una serie di incontri istituzionali con l’amministrazione statunitense ed il congresso per fare il punto sui successivi passi da attuare per l’integrazione degli accordi di pace del 2015, e per una ulteriore richiesta di assistenza umanitaria.
Purtroppo la spaccatura del SPLM-IO non sarà indolore e Machar ha chiaramente dimostrato l’intenzione di non voler cedere il potere senza prima lotta, dato il forte ascendente e la lealtà della maggioranza degli uomini nell’esercito irregolare sud sudanese.
La risoluzione dell’ufficio politico del SPLM-IO del 24 settembre, riunito per tre giorni a Khartoum sotto la presidenza di Machar, ha gettato ancora più sale sulle ferite se mai ce ne fosse stato bisogno. Oltre a decretare il fallimento degli accordi di pace e del governo di transizione di unità nazionale di Giuba, esso ha decretato l’espulsione dei membri del partito che sostengono quel governo, da Deng all’ex ministri degli interni Alfred Lado Gore, ad altri esponenti di primissimo piano come Dhieu Mathok Diing, Richard Mulla, Ezekiel Lol Gatkouth, Hussein Mar Nyout, Lumumba Di-Aping e Sophia Pal Gai.
Una risoluzione che se non è una dichiarazione di guerra senza quartiere, ne ha tutte le caratteristiche, in cui come sempre sarà la popolazione civile a pagarne il prezzo più alto.