Sud Sudan. Terzo anniversario della guerra civile

di Valentino De Bernardis – 

Nel giorno del terzo anniversario dello scoppio della guerra civile, si aprono due nuovi capitoli nella breve ma intensa storia del Sud Sudan. Pagine certamente importanti per gli annali di storia politica del paese, ma da cui non ci si attendono importati sviluppi nel percorso di pacificazione del paese, dopo tutte le false partenze che si sono registrate nell’ultimo periodo.
Il primo fatto di rilievo è rappresentato dalla decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di prolungare di un altro anno (15 Dicembre 2017) la missione di peacekeeping (Unmiss) nel paese. Una scelta quantomeno obbligata dopo che la scorsa estate si è assistito alla rottura delle relazioni tra il presidente Salva Kiir e la frangia più radicale (e armata) dell’opposizione legata all’ex vicepresidente Riek Machar, e al conseguente aumento esponenziale del rischio di sempre più gravi crisi politiche, economiche, umanitarie e di sicurezza nel paese. Difatti, sulle ceneri del trattato di pace dell’Agosto 2015, si è registrato un aumento dell’instabilità e dell’intensità del conflitto armato anche in regioni come la Greater Equatoria e la Greater Bahr-El-Ghazal, un tempo considerate impermeabili da tali rischi.
Il rinnovato impegno delle Nazioni Unite include un incremento delle truppe presenti sul territorio, dalle 12.500 unità della risoluzione 2132 del dicembre 2013, alle attuali 13.500 alle future 17.000 presenze della nuova risoluzione 2327, approvata all’unanimità il 16 dicembre 2016. Un aumento di truppe a cui è accompagnato altresì un rafforzamento delle regole d’ingaggio, per garantire la sicurezza della popolazione civile e rendere più efficace l’azione di una missione altrimenti sterile al raggiungimento del proprio obiettivo entro i termini prestabiliti.
La chiave di lettura che si può immediatamente dare alla decisione delle Consiglio di Sicurezza è quella di una involontaria ammissione di fallimento del proprio operato, che in tre anni di sterili minacce si sanzioni (Risoluzione 2206/2015), non è riuscito a garantire il primo ed unico obiettivo che si prefissava: la pacificazione del più giovane paese africano.
Se questi è stato il nuovo capitolo in politica estera da tenere a mente a futura memoria, in politica interna si è assistito ad un nuovo passo avanti (e nella tradizione sud-sudanese futuro passo indietro) nei rapporti tra il governo di Giuba e le forze di opposizione. La contrapposizione politico-militare, che nel tempo si è andata alimentando in una totale mancanza di fiducia nella parte avversa a causa di continui accordi non rispettati da ambo le parti, è stata smossa dalla nuova azione politica di Giuba. Il 14 dicembre il presidente Kiir ha lanciato un nuovo invito al “dialogo nazionale per il perdono” tra le forze in campo, che con il supporto di organi terzi ed indipendenti dovrebbe aiutare maggioranza ed opposizione a raggiungere una sintesi condivisa e porre le basi per la stesura di una nuova costituzione.
Essendo la proposta di Kiir ad uno stato embrionale, non è dato sapere se l’iniziativa intrapresa sia solo un progetto di facciata per rafforzare il consenso della comunità internazionale attorno alla sua persona come unico politico realmente intenzionato alla pacificazione nazionale, oppure un disegno politico capace di mettere fine allo scontro armato nel paese. Quello che però è necessario tener presente, è come il processo di “dialogo nazionale per il perdono” potrebbe prendere il via senza la partecipazione del più tenace oppositore alla presidenza di Kiir, e cioè il già citato ex vicepresidente Machar. Forzato a non poter tornare in Sud Sudan, negli ultimi mesi Machar si è spostato da Addis Abeba a Khartoum e in ultimo Pretoria alla ricerca di un riconoscimento forte per continuare la propria azione politica. Proprio dalla capitale sudafricana però si sono rincorse voci e smentite che Machar sia sottoposto ad un regime di arresti domiciliari per evitare che possa interferire in un modo o nell’altro nel processo di pacificazione del paese africano.
Nuovi capitoli del caos sud-sudanese in cui a rimetterci rimane solamente la popolazione civile, costretta a viverli in prima persona, consci che quello attuale non sarà l’ultimo anniversario della guerra civile.

Twitter: @debernardisv
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