Sudan. Condannata a morte per aver ucciso il suo stupratore. Il dramma delle spose-bambine

di C. Alessandro Mauceri

Giovedì 10 maggio il tribunale di Omdurman, città del Sudan gemella della capitale Khartoum sull’altra sponda del Nilo, ha condannato a morte Noura Hussein per aver ucciso il suo stupratore. Se non si riuscirà a fare qualcosa, tra 15 giorni sarà impiccata. Accanto a lei, a sostenerla al momento della sentenza c’erano tante ragazze e donne, anche loro sudanesi. Come Amira Osman, che ha denunciato “la violazione del diritto”, e su Internet è stata lanciata una campagna #JusticeForNoura. I suoi avvocati hanno depositato ricorso, ma intanto sono moltissime le associazioni per i diritti umani fuori e dentro il Sudan ad essersi attivate per fermare il conto alla rovescia per l’esecuzione (che dovrebbe avvenire per impiccagione). Anche la diplomazia si sta muovendo. Compresa quella italiana, che quattro anni fa giocò un ruolo importante nella liberazione di Meriam Yehya Ibrahim Ishag, la donna condannata a morte per apostasia e adulterio. Assenti invece i suoi familiari, gli stessi che l’hanno consegnata alla polizia dopo che per difendersi dal suo violentatore lo aveva ucciso.
La vicenda di Noura è esemplare del fenomeno delle spose bambine in molte parti del mondo. Nel 2012 era stata promessa in sposa con il solo rito religioso all’età di 13 anni, ma si era ribellata. Grazie all’aiuto di una zia riuscì a fuggire. Ma solo due anni dopo la famiglia la “concesse” in sposa nuovamente, questa volta con rito legale. Ad ingannarla pare siano stati i suoi stessi familiari: nessuno le disse che il giorno del suo ritorno a casa era lo stesso in cui erano state organizzate le nozze. Finito il rito venne portata in un appartamento e costretta a “consumare” il matrimonio: sono stati i suoi familiari ad aiutare il marito (tra loro un fratello e un cugino del marito). Noura venne violentata ripetutamente. Per diversi giorni. Finalmente riuscì a liberarsi e reagì accoltellando il suo marito-violentatore. Venne arrestata (ancora minorenne) e rinviata a giudizio. I familiari del marito rifiutano la “deya”, la compensazione economica possibile in questi casi, che sarebbe stata coperta da alcune ong per i diritti umani. In tribunale l’attacco del pubblico ministero Ali Hasan Abdulrahman è durissimo, “Un omicidio brutale. Lei ha persino impedito alla vittima di chiamare aiuto”.
Quello di Noura è solo l’ultimo di una lista interminabile di casi di violenze e abusi nascosti sotto il nome di spose bambine. Sebbene la maggior pare dei matrimoni combinati per le spose bambine avvenga in Asia il maggior numero di paesi in cui si verifica è in Africa. Si tratta di un fenomeno che non riguarda solo paesi lontani e “poco sviluppati”. Anche in Europa e negli Stati Uniti non mancano i casi di adolescenti, a volte ancora bambine, portate nel paese d’origine della famiglia e qui “vendute” in sposa. E per chi non accetta questa prassi disumana la punizione è la morte, spesso per mano dei propri familiari. Solo pochi giorni fa è venuta alla luce il caso di Sana Cheema, la 25enne residente a Brescia colpevole di essersi ribellata al matrimonio combinato dalla sua famiglia. Per questo sarebbe stata portata nel distretto pakistano di Gujarat, dov’era nata, e qui strangolata dai suoi stessi familiari, i quali poi hanno cercato di nascondere tutto denunciando la “morte causata da un infarto”.
La verità è che in molti paesi del mondo i matrimoni combinati e imposti dalle famiglie sono più che frequenti: sono una prassi abituale e consentita. In Sudan nel paese di Noura, il 12 % dei matrimoni avviene con uno dei coniugi di età inferiore ai 15 anni. Il 34% con un coniuge minorenne, dati UNICEF State of the World’s Children, 2017. Sebbene il maggior numero di spose bambine si trovi nell’Asia meridionale, la maggior parte dei paesi con la più alta prevalenza di matrimonio infantile sono in Africa. E il Sudan è tra i paesi africani con un’alta prevalenza di matrimoni precoci. Secondo il CMI, CHR Michelsen Institute, in Sudan, il 10,7% delle donne di età compresa tra i 15 ei 49 anni si sono sposate prima dei 15 anni e il 38% si è sposato prima dei 18 anni. Questa “tradizione” appare ingiustificata e priva di fondamento religioso: come ha ribadito la giornalista Yousra Elbagir, che vive nella capitale Khartoum, “Nell’Islam il matrimonio forzato è illegittimo”.
Della piaga dei matrimoni combinati e delle spose bambine in Sudan si era parlato alla fine del 2016 dopo la presentazione del Rapporto periodico universale alle Nazioni Unite (Nazioni Unite 2016a; 2016b) da parte del governo. Inoltre, l’argomento è recentemente entrato nell’agenda pubblica nel contesto della riforma della Legge personale musulmana del 1991. Tale legge stabilisce l’età minima del matrimonio a tamyeez (“maturità”) e che una donna ha bisogno di un tutore maschio (un padre, un fratello o uno zio) per contrarre il matrimonio. Quando fu approvato l’atto del 1991, il governo islamico del tempo impiegò argomenti religiosi per difendere la legalizzazione del matrimonio infantile. Sebbene il governo stia cercando di lavorare per un cambiamento sia legale che sociale, la situazione desta ancora molti dubbi, ed il Consiglio nazionale per il benessere dei bambini (NCCW), sotto la supervisione del ministro del Welfare del Sudan, ha formulato una strategia per abbandonare la pratica. La legge nazionale sui minori del 2010 definisce “bambino” una persona di età inferiore ai 18 anni e prevede norme per la protezione dei bambini da tutte le forme di discriminazione, e di conseguenza è stata utilizzata come piattaforma per sostenere la riforma legale dell’età minima del matrimonio. Questa norma però trova forti resistenze in alcuni gruppi conservatori, che continuano a sostenere che la pratica del matrimonio infantile è in accordo con la Sharia. I risultati delle nostre ricerche suggeriscono che il matrimonio infantile è una forma culturalmente articolata di negazione dei diritti delle ragazze, compresa la libertà di decidere chi sposare e quando entrare in matrimonio. Nel dicembre 2015 il governo sudanese ha lanciato la campagna dell’Unione africana per porre fine al matrimonio dei bambini in Africa (Unione Africana 2015b). Ciò nonostante, come conferma il rapporto 2015 dell’UNICEF “Un profilo del matrimonio infantile in Africa”, la diffusione della prassi delle spose bambine è calata troppo lentamente in Africa e rimane nettamente superiore alla media globale.
Gli obiettivi di Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, i SDGs, varati nel settembre 2015, includono l’eliminazione del matrimonio infantile come obiettivo chiave per far progredire l’uguaglianza di genere entro il 2030. Il matrimonio infantile è una violazione diritti dei bambini e delle donne come il diritto alla salute, all’istruzione, all’uguaglianza, alla non discriminazione e alla libertà dallo sfruttamento. Per le ragazze il matrimonio ha effetti particolarmente gravi: spesso le spose bambine non sono pronte a diventare mogli e madri né fisicamente né emotivamente. Le gravidanze precoci aumentano il rischio di mortalità materna e infantile. A questo si aggiunge che quasi sempre le spose bambine raramente sono autorizzate a continuare la propria istruzione dopo il matrimonio.
Ma di tutto questo al tribunale che ha condannato Noura per aver ucciso il suo stupratore quando era ancora minorenne, non sembra importare molto.