Sudan. Verso la rimozione delle sanzioni Usa

di Valentino de Bernardis

Il confronto diplomatico tra Stati Uniti e Nord Corea continua a dettare l’agenda politico-militare della comunità internazionale. L’obiettivo diplomatico di Washington rimane quello di creare un solido cordone sanitario attorno a Pyongyang, e dopo aver ottenuto improntati sostegni in Asia ed Europa, con alleanze ratificate e atti di fedeltà più o meno espliciti, il raggio d’azione inizia a concentrarsi in maniera decisa anche in Africa.
Dopo la decisione ugandese del maggio 2016 di tagliare la cooperazione politica e militare con il Nord Corea, in quest’ultima settimana è stato il turno del Sudan. La decisione del presidente Omar Hasan Ahmad al-Bashir di voler interrompere le relazioni con l’alleato asiatico (intraprese nel 1969), sebbene giustificata da diverse motivazioni rappresenta una completa vittoria di Washington, che riesce a portare dalla sua parte, attraverso forti pressioni, una delle ultime roccaforti nordcoreane nel continente nero. Nonostante le accuse di compravendita di armamenti, informazioni e commercio di prodotti tra Sudan e Nord Corea sia stato sempre negato dalla controparte africana, i legami tra i due paesi sono sempre stati intensi.
La moneta di scambio, non troppo nascosta, messa sul tavolo dagli Stati Uniti è stato il susseguente annuncio della rimozione delle sanzioni contro il Sudan a partire dal prossimo 12 ottobre che, se mantenuta, permetterebbe al governo di Khartoum di interrompere l’isolazionismo internazionale a cui era stato da troppo tempo relegato.
La storia delle sanzioni Usa risale infatti al 1997, durante il secondo mandato Clinton, per il sostegno del paese al terrorismo internazionale, il contributo negativo alla stabilizzazione dell’area e la violazione dei diritti umani, specialmente per quanto concerne i conflitti armati in Darfur, Kordofan e Blu Nile. La forte spinta alla normalizzazione dei rapporti con il paese africano è uno degli ultimi lasciti in politica estera dell’amministrazione obamiana, che in segno di buona volontà già nel gennaio 2017 aveva temporaneamente cancellato le sanzioni in cambio di un impegno concreto nel mantenimento del cessate il fuoco, della lotta al terrorismo e di un sempre maggior rispetto dei diritti umani.
L’avvento del nuovo corso alla Casa Bianca e la decisione di posticipare la cancellazione perenne delle sanzioni da luglio a ottobre, avevano fatto ipotizzare che la normalizzazione dei rapporti con il Sudan potesse subire una frenata come quelle registrate con Cuba e Iran. La presente tensione con il Nord Corea e la necessità di guadagnare posizioni in Africa hanno funzionato da catalizzatore, e in un certo senso obbligato Washington a seguire la strada già tracciata.
Nella realtà dei fatti, cosa significa la possibile cancellazione delle sanzioni Usa contro il Sudan? Tutto e niente. Khartoum dovrebbe rimanere (il condizionale è d’obbligo data la totale imprevedibilità dei rapporti tra nazioni anche quando tutto sembra già deciso) nella lista nera degli Stati Uniti, cosi come le sanzioni delle Nazioni Uniti dovrebbero rimanere ancora in piedi, e come le accuse per crimini contro l’umanità contro Bashir.
Tanto rumore per nulla quindi? No, sarebbe errato pensarlo. Lo scopo è infatti quello di riacquisire il Sudan come attore di primo piano e non antagonista in una delle regioni più calde del pianeta, caratterizzata da guerre civili dimenticate e bacino di pericolosi fondamentalisti (Libia, Ciad, Sud Sudan, Rep. Dem. Congo, Eritrea). Il 12 ottobre, se le promesse saranno mantenute, vi sarà quindi un primo passo verso la giusta direzione, sarà poi compito di Khartoum fare gli altri per arrivare a destinazione.

Twitter: @debernardisv
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